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Cronaca
04 Agosto 2025 - 09:37
Smantellata rete cinese di riciclaggio, armi e prostituzione in 24 province (foto di repertorio)
Sono tredici gli arresti, trentuno le persone denunciate e oltre 22mila euro sequestrati, ma il vero impatto dell’ultima maxi-operazione della Polizia di Stato non si misura solo nei numeri. Il blitz, che ha interessato 24 province italiane, è il risultato di un’indagine ampia e articolata, coordinata dal Servizio Centrale Operativo (Sco), per colpire alla radice la criminalità organizzata cinese che da anni si muove sotto traccia sul territorio nazionale. Al centro dell’attenzione investigativa, non solo la prostituzione e l’immigrazione clandestina, ma soprattutto il sistema hawala, una vera e propria banca fantasma senza sportelli né documenti.
Il termine potrebbe suonare esotico, ma è ben noto alle forze dell’ordine. Si tratta di una forma di trasferimento informale di denaro che consente di far passare milioni da un continente all’altro, senza lasciare tracce nei sistemi bancari ufficiali. È un metodo antico, nato in Asia meridionale, ma oggi largamente utilizzato dai gruppi criminali di tutto il mondo, cinesi compresi. In Italia, come emerge dall’inchiesta, l’hawala è diventato un ingranaggio centrale per il riciclaggio dei proventi illeciti, sfruttato anche da altre mafie per pagamenti legati al traffico di droga, migranti, armi o merce contraffatta.
Secondo quanto diffuso dagli investigatori, i gruppi cinesi attivi soprattutto in regioni come la Toscana, il Veneto e l’Emilia-Romagna, avevano creato una rete capillare in grado di offrire servizi criminali su misura: intermediazione illecita di manodopera, sfruttamento lavorativo, laboratori tessili clandestini, prostituzione in appartamenti e perfino import-export di droga sintetica. Le indagini, che hanno richiesto mesi di pedinamenti, intercettazioni e verifiche contabili, hanno coinvolto le Squadre Mobili di città strategiche come Milano, Prato, Roma, Padova, Bologna, Firenze e Genova.
Uno degli elementi più inquietanti dell’operazione è il carattere internazionale delle attività monitorate. L’hawala, infatti, non si limita a spostare soldi all’interno della penisola: agisce come una rete parallela globale, capace di connettere i proventi dell’illegalità italiana con banche fantasma in Cina, in Africa, nel Sud-est asiatico, senza bisogno di circuiti tradizionali. A fronte di un pagamento in contanti in Italia, il destinatario riceve l’equivalente – anch’esso in contanti – a Pechino o a Lagos, senza passare da bonifici o carte.
Il bilancio dell’operazione comprende anche sanzioni amministrative per oltre 73mila euro, spesso relative a violazioni in materia di lavoro e sicurezza nei luoghi di impiego, con particolare riferimento al settore tessile e a quello della ristorazione. Ma è solo la punta dell’iceberg. Secondo fonti investigative, l’inchiesta ha permesso di raccogliere materiale utile per future azioni giudiziarie più ampie, anche grazie alla collaborazione con le forze dell’ordine europee e asiatiche.
La presenza criminale cinese in Italia non è una novità. Prato e Milano, in particolare, sono da anni al centro di dossier su imprese fasulle, evasione fiscale e laboratori irregolari. Tuttavia, ciò che differenzia questa operazione dalle precedenti è la sua portata nazionale e simultanea, che ha permesso di mettere in luce come le reti criminali non agiscano in compartimenti stagni ma seguano strategie imprenditoriali internazionali, con una gestione manageriale del crimine.
Il fenomeno dell’hawala, già sotto osservazione da parte dell’Europol e della FinCEN americana, solleva interrogativi anche di tipo normativo. In Italia, come in molti Paesi europei, l’esercizio di attività bancaria senza autorizzazione è reato. Ma quando i trasferimenti avvengono senza tracce scritte, spesso con codici segreti verbali, è difficile raccogliere prove concrete. Ecco perché i risultati dell’operazione appena conclusa sono considerati un successo investigativo raro, frutto anche di infiltrazioni sotto copertura e collaborazioni internazionali.
Resta aperta, tuttavia, la questione della sostenibilità di queste indagini nel lungo periodo. Il numero limitato di arresti rispetto all’estensione del fenomeno fa pensare a una strategia ancora in evoluzione, che probabilmente porterà a nuove operazioni nei prossimi mesi. Intanto, il messaggio alle organizzazioni criminali è chiaro: anche chi si nasconde dietro attività apparentemente legali, come un ristorante o un piccolo laboratorio, non è al sicuro.
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