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29 Luglio 2025 - 21:45
Elkann
Non è più una voce, e neppure un'indiscrezione. Ora è ufficiale: Iveco, storica azienda di veicoli industriali controllata dal gruppo Exor della famiglia Agnelli-Elkann, conferma che “sono in stato avanzato le trattative” non solo per la cessione del ramo difesa, ma anche dell’intero Iveco Group. La notizia, mai smentita nei giorni scorsi, è destinata a segnare un punto di svolta nella storia industriale del nostro Paese. E mentre a Piazza Affari il titolo brinda con un balzo del +4,84%, i sindacati lanciano l’allarme e chiedono l’intervento del governo.
In una nota ufficiale, l’azienda precisa che “il consiglio di amministrazione sta analizzando e valutando attentamente tutti gli aspetti di queste potenziali operazioni. Nel farlo, tiene nella dovuta considerazione gli interessi di Iveco Group e di tutti i suoi stakeholder, compresi azionisti, dipendenti e clienti, e terrà informato il mercato”. Un linguaggio tecnico e prudentemente istituzionale che non maschera il terremoto in atto.
La prima pedina sul tavolo è la Idv (Iveco Defence Vehicles), la divisione che produce mezzi militari e per la protezione civile. Per questa realtà, che nel 2024 ha registrato ricavi per 1,13 miliardi (+15%), si ipotizza una valutazione attorno a 1,7 miliardi di euro. In pole position ci sono Leonardo e la tedesca Rheinmetall, in un’operazione che potrebbe essere annunciata già domani, in concomitanza con la presentazione dei conti del primo semestre. Un indizio? La conference call prevista con gli analisti è slittata a mercoledì 31 luglio, segnale che i dati verranno resi noti a mercati chiusi.
Ma la vera bomba è un’altra: si tratta per vendere l’intero gruppo Iveco, con i suoi 19 stabilimenti produttivi, 36.000 dipendenti nel mondo, di cui 14.000 in Italia, e una lunga storia di tecnologia, meccanica e lavoro. Il possibile acquirente? La Tata Motors, colosso indiano già proprietario di Jaguar Land Rover, con cui Exor intrattiene da tempo rapporti privilegiati. Il legame tra le famiglie Tata e Agnelli-Elkann è noto: il patriarca indiano era amico dell’Avvocato e John Elkann ha partecipato ai funerali di Stato a Mumbai lo scorso ottobre.
Già in passato si era parlato di una cessione, prima ai cinesi di Faw, poi ad altri soggetti. Ma tutto era naufragato. Questa volta, però, la macchina sembra davvero partita. E a giudicare dalla reazione entusiasta dei mercati, gli investitori ci credono. Ma non tutti brindano.
La prospettiva di vedere smantellato uno degli ultimi pezzi di industria pesante italiana, passandolo di mano in mano come un qualsiasi asset finanziario, preoccupa – e non poco – i sindacati. La Fiom-Cgil alza la voce: “La situazione è molto grave e necessita di un passo indietro da parte della proprietà. Exor sta chiaramente disinvestendo sulla prospettiva industriale della società a favore di profitti e dividendi per gli azionisti, come tra l'altro sta facendo anche nell'auto”, scrivono Samuele Lodi e Maurizio Oreggia, responsabili del settore mobilità per la sigla metalmeccanica.
Non è solo una questione ideologica. Il problema è concreto: “Tutto questo potrebbe impattare negativamente anche sulla tenuta occupazionale delle lavoratrici e lavoratori, che tra i soli diretti e somministrati sono circa 10.000, oltre naturalmente ad alcune migliaia dell'indotto”. A loro avviso, il governo deve intervenire subito con tutti gli strumenti a disposizione. La parola chiave è una sola: Golden Power, quella norma che consente all’esecutivo di bloccare operazioni che intacchino gli interessi strategici del Paese.
Sulla stessa linea anche Carlo Calenda, leader di Azione, che chiede a Giorgia Meloni di agire: “La Presidente del Consiglio non può restare a guardare. Deve usare il Golden Power per fermare lo smantellamento di un settore strategico come quello dei veicoli industriali e militari”.
Per ora, però, l’unico tavolo annunciato è quello del Mimit, convocato per il 31 luglio, ma – e qui sta l’assurdo – senza la presenza dell’azienda. Una convocazione definita “inaccettabile” dai sindacati: “Il confronto dovrà avvenire in sede ministeriale con la necessaria presenza dell'azienda. Non accetteremo mai operazioni speculative che nulla hanno di industriale. Utilizzeremo tutti i mezzi a nostra disposizione per contrastare questi fenomeni”.
Mentre si moltiplicano le preoccupazioni per il futuro occupazionale e industriale di uno dei simboli della manifattura italiana, in Borsa i numeri fanno festa. Ma il Paese rischia di perdere un altro pezzo del suo sistema produttivo. Dopo la siderurgia, l’automotive e l’elettronica, ora è il turno dei veicoli industriali. L’Italia guarda, impotente, mentre pezzi della sua storia se ne vanno. A testa bassa, in silenzio.
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