Cerca

Cronaca

Nichelino: le mani della 'ndrangheta sui cantieri pubblici

Il Tar sospende lo stop antimafia, ma il sindaco aveva già cacciato l'impresario vicino al clan Arone

Nichelino: le mani della 'ndrangheta

Nichelino: le mani della 'ndrangheta sui cantieri pubblici

È una vicenda che mescola giustizia amministrativa, appalti pubblici e infiltrazioni mafiose quella che, da qualche settimana, tiene banco a Nichelino e rischia di diventare un precedente delicato per enti locali e imprese. Tutto ruota attorno al nome di Rosario Tuccio, impresario edile finito al centro di un’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto, a causa di frequenti collegamenti investigativi con la 'ndrangheta attiva in Piemonte. Nonostante ciò, il Tar ha deciso di sospendere il provvedimento, ritenendo prevalente la necessità di tutelare la continuità aziendale e il destino occupazionale dei suoi 44 dipendenti. Ma intanto il sindaco di Nichelino, Giampietro Tolardo, aveva già deciso di escludere l'impresa dal cantiere pubblico in corso nella città.

Il cantiere in questione riguarda il raddoppio e la riqualificazione della scuola Rodari, un intervento da 9 milioni di euro, cofinanziato anche con risorse del Pnrr. Proprio lì, la Tuccio Costruzioni srl era presente in subappalto. Appena giunta la comunicazione ufficiale della Prefettura di Milano sull'interdittiva, l'amministrazione comunale ha scelto la linea dura: è stato chiesto alla Beltrami Costruzioni di Cremona, titolare dell’appalto, di revocare il subaffidamento all’impresa riconducibile a Tuccio. E così è stato.

Il Tar, però, ha sospeso l'interdittiva. Non perché abbia smentito le risultanze investigative, ma per un principio giuridico superiore di salvaguardia occupazionale. Secondo i giudici, la revoca immediata dell’attività aziendale metterebbe a rischio il reddito di decine di lavoratori e l’intero equilibrio della ditta, senza che nel frattempo sia stato emesso un giudizio definitivo. Un nodo ricorrente nel mondo delle interdittive antimafia: provvedimenti amministrativi adottati in via preventiva, basati su elementi informativi e non su condanne, che però possono avere effetti devastanti sulla vita delle imprese.

Il nome di Tuccio è emerso per la prima volta durante l’operazione Carminius, una delle indagini più importanti contro la ‘ndrangheta in Piemonte, e successivamente è comparso anche nell’inchiesta Factotum, quella che ha portato in carcere personaggi ritenuti ai vertici dell’organizzazione criminale calabrese radicata nella provincia torinese. In particolare, Tuccio viene indicato nei documenti giudiziari come vicino al superboss Salvatore Arone, noto nell’ambiente con il soprannome “Padre Pio”, considerato uno dei riferimenti più influenti della cosca.

Arone, formalmente titolare di una ditta agricola, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia avrebbe operato dietro le quinte del settore edilizio, servendosi di imprenditori fidati, tra cui lo stesso Tuccio, per influenzare gare, spartire lavori, fornire manodopera e condizionare i cantieri pubblici. Il metodo è noto: le cosche non entrano più direttamente con la violenza, ma agiscono attraverso reti imprenditoriali formalmente pulite, capaci di vincere appalti e subappalti grazie a prestanome, contatti e, spesso, silenzi compiacenti.

Nel caso specifico, Tuccio non è formalmente indagato, ma i suoi rapporti – ripetuti, documentati, non occasionali – con soggetti condannati o sotto processo per reati di mafia hanno fatto scattare il meccanismo della misura interdittiva, strumento introdotto proprio per evitare che soggetti legati alla criminalità organizzata possano avere accesso diretto o indiretto ai fondi pubblici.

Ma l’efficacia di questi strumenti viene messa in discussione ogni volta che i tribunali amministrativi, per motivi procedurali o per tutelare i posti di lavoro, decidono di sospendere o annullare le interdittive. Un cortocircuito sempre più frequente. Da un lato, le amministrazioni locali cercano di prevenire infiltrazioni, dall’altro le imprese fanno valere i propri diritti legali, in un gioco di ricorsi e controricorsi che rischia di paralizzare i cantieri e lasciare nel limbo questioni delicate.

Il caso Tuccio è emblematico di questa fragilità normativa. Da una parte, c’è il sindaco che – con una scelta responsabile – decide di tagliare fuori una ditta segnalata dal Prefetto. Dall’altra, c’è un imprenditore che presenta ricorso e un Tar che, senza smentire la sostanza dell’interdittiva, la sospende temporaneamente per evitare conseguenze economiche gravi. In mezzo, ci sono decine di lavoratori, un cantiere pubblico quasi concluso, e una comunità che si interroga su quale sia il modo migliore per proteggere la legalità senza colpire i più deboli.

Tutto questo accade mentre le inchieste della DDA di Torino continuano a mostrare quanto la ‘ndrangheta sia capace di inserirsi nei gangli più sensibili dell’economia legale, specialmente laddove ci sono lavori pubblici, grandi appalti, fondi straordinari come quelli del PNRR. Ed è proprio in questi contesti che il rischio di contaminazione criminale è massimo, perché la pressione per accelerare i cantieri si scontra con la necessità di garantire trasparenza e legalità.

A Nichelino, intanto, il cantiere della scuola Rodari è al 90% della sua esecuzione. I lavori, nonostante tutto, vanno avanti. Ma il caso Tuccio resta aperto. Non solo dal punto di vista amministrativo, in attesa di una decisione definitiva sul merito dell’interdittiva, ma soprattutto come esempio di una difficoltà strutturale nel contrastare le infiltrazioni in modo efficace e tempestivo.

Il nodo è culturale e politico, oltre che giuridico. Serve una maggiore coerenza tra strumenti amministrativi e tempi della giustizia, ma anche una volontà politica ferma nel monitorare con attenzione i cantieri pubblici. Gli enti locali non possono essere lasciati soli in questa battaglia. I prefetti devono agire con strumenti più chiari, e i giudici devono poter decidere sulla base di norme meno interpretabili.

Nel frattempo, però, le imprese legate – direttamente o indirettamente – alla criminalità organizzata continuano a operare. E ogni sospensione, ogni deroga, ogni appalto che passa inosservato rappresenta una crepa nella diga della legalità. A pagarne il prezzo, alla fine, non sono solo i lavoratori o le aziende concorrenti escluse ingiustamente, ma anche e soprattutto i cittadini. Quelli che ogni giorno chiedono scuole sicure, parchi attrezzati, strade senza cantieri eterni. E che meritano di sapere chi sta costruendo, con quali soldi, e con quali alleanze.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori