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Cronaca
18 Luglio 2025 - 09:35
Usura a Torino: sequestrati beni per 600mila euro a un usuraio calabrese
Un prestito da 154mila euro. Un piano di rientro da oltre un milione. E un calvario durato quindici anni, tra minacce, violenza psicologica e interessi mostruosi: il 120% annuo, come in certi romanzi criminali, ma con la differenza che questa è una storia vera, avvenuta a Torino. A portarla alla luce sono stati gli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia. L’indagato, un uomo di origine calabrese residente da tempo nel capoluogo piemontese, era già stato arrestato con le accuse di usura, estorsione e rapina aggravate dal metodo mafioso. Ora, però, è scattato anche il sequestro preventivo dei suoi beni: 600mila euro, frutto – secondo gli inquirenti – dei guadagni ottenuti con le sue attività illecite.
Secondo quanto accertato durante l’inchiesta, l’imprenditore vittima dell’usura si trovava in gravi difficoltà finanziarie quando, circa quindici anni fa, si è rivolto all’uomo per ottenere un prestito. Da quel momento è iniziata una spirale di minacce e ricatti. A fronte della somma iniziale, avrebbe restituito nel tempo quattro volte tanto: 600mila euro già versati, con un tasso d’interesse mensile attorno al 10%, e una promessa di ulteriori 620mila euro ancora da pagare. Il tutto, chiaramente, al di fuori di qualsiasi circuito bancario o finanziario legale.
L’inchiesta ha documentato un vero e proprio sistema fondato sull’intimidazione e sulla violenza. L’imprenditore è stato minacciato più volte, sia lui che i suoi familiari. Il suo immobile di proprietà è diventato un’ossessione per l’aguzzino, che pretendeva la vendita per rientrare delle somme. In altri casi gli veniva prospettato che, in assenza di pagamenti, la sua auto sarebbe stata incendiata.
In un episodio, la vittima ha riferito che l’uomo gli avrebbe detto apertamente che i soldi che riceveva non erano suoi, ma provenivano da "gente di peso e pericolosa", appartenente alla ‘ndrangheta. Un modo chiaro per spiegargli che non c’era margine per “sgarrare” e che chi non pagava andava incontro a conseguenze peggiori. Questo riferimento esplicito ai legami con la criminalità organizzata ha convinto la Dda a chiedere – e ottenere – l’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso.
Le indagini si sono intensificate negli ultimi mesi. I finanzieri sono riusciti a riprendere un passaggio di denaro in tempo reale, monitorando uno scambio tra la vittima e l’indagato. Quest’ultimo è stato fermato mentre riceveva una busta con denaro contante. È stato l’episodio decisivo per procedere con l’arresto, già avvenuto nei mesi scorsi.
Ora, con il sequestro disposto dal giudice per le indagini preliminari, si è chiuso il cerchio anche dal punto di vista patrimoniale. I militari hanno eseguito un provvedimento che riguarda conti correnti, buoni postali, immobili e quattro autovetture, tutti intestati all’indagato, o comunque nella sua disponibilità. Il valore complessivo, come detto, è pari a 600mila euro, corrispondente al profitto illecito stimato derivante dalle sue attività di usura e dalle estorsioni.
La vicenda solleva nuovamente l’allarme su un fenomeno sotterraneo ma molto presente anche nel Nord Italia: quello dell’usura con metodo mafioso, spesso mimetizzata dietro prestiti “amichevoli”, che si trasformano poi in trappole in cui la vittima viene isolata e progressivamente privata di ogni risorsa. Le radici calabresi dell’indagato e i riferimenti espliciti alla ‘ndrangheta non sono passati inosservati alla procura antimafia, che ha deciso di dare un segnale forte.
Mentre l’inchiesta prosegue, per accertare eventuali altri episodi simili o complici coinvolti, la Guardia di finanza invita eventuali vittime di usura a denunciare senza paura. L’imprenditore finito in trappola per quindici anni ha trovato la forza di farlo, e oggi il suo gesto ha portato a un’operazione giudicata esemplare dalle forze dell’ordine.
Nel frattempo, i beni sequestrati saranno sottoposti a verifica patrimoniale per eventuale confisca definitiva. Se così fosse, potrebbero essere restituiti alla collettività, chiudendo simbolicamente un capitolo doloroso con un segno concreto di giustizia.
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