AGGIORNAMENTI
Cerca
Cronaca
23 Luglio 2025 - 22:35
E' successo tutto a pochi metri da casa, nel pieno pomeriggio di martedì 22 luglio, sotto gli occhi indifferenti del centro cittadino. Non era la prima volta che veniva insultata, infastidita ma questa volta il branco ha fatto un passo in più. E ha colpito. A Ciriè, una ragazza trans di 23 anni è stata accerchiata, insultata da un gruppo composto in gran parte da minorenni. L’aggressione è avvenuta in strada, sotto gli occhi della gente, a pochi passi dalla piazza del mercato. Nessuna provocazione. Nessuna colpa. Solo la colpa di esistere.
La giovane ha poi raccontato ai Carabinieri della Tenenza di Ciriè, dove si è presentata pochi minuti dopo per denunciare l’accaduto, che non era la prima volta che quel gruppo la insultava, ma che mai, fino ad allora, si erano spinti fino all’aggressione. Ha avuto la prontezza di rifugiarsi in casa, respirare, uscire di nuovo e fare ciò che da troppe vittime viene ancora considerato un tabù: denunciare. E lì è scattato il Codice Rosso, che in casi come questo può davvero fare la differenza. I carabinieri sono intervenuti sul posto immediatamente, hanno identificato gran parte del gruppo e sono risaliti anche all’adulto che avrebbe sferrato lo schiaffo.
I minorenni, già noti per precedenti episodi di molestie verbali, sono stati segnalati alla Procura per i Minorenni. I genitori sono stati convocati e informati. Nessuna “ragazzata”. Nessun equivoco. Una violenza codificata, grave, reiterata. E per fortuna non impunita.
La ragazza ha ringraziato i carabinieri per la tempestività e la sensibilità dimostrate. Ha ammesso di aver avuto paura, ma ha sottolineato l’importanza di denunciare, aggiungendo che è arrivato il momento di smettere di subire. La sua voce è apparsa stanca, ma decisa. Le parole pronunciate hanno lasciato trasparire la paura vissuta, il senso di solitudine, il sollievo di essersi sentita protetta e, soprattutto, la volontà di non lasciar passare l’accaduto sotto silenzio.
Ma c’è qualcosa in più, in questa storia. Qualcosa che fa male e che al tempo stesso costringe a guardare in faccia la realtà. Perché l’aggressione non è avvenuta in una metropoli né in un contesto degradato. È avvenuta a Ciriè, in provincia di Torino. Una cittadina tranquilla, ordinata, con il corso pedonale, il mercato, i dehors pieni di gente. Ed è proprio questa normalità apparente a rendere il fatto ancora più inquietante.
Ed è la stessa città che, da quattro anni, ospita il primo Pride di provincia in Piemonte. Una scommessa culturale nata proprio per portare i diritti fuori dai grandi centri urbani, per dire che anche in periferia, anche nei paesi, anche nei quartieri dove si cresce con i mormorii e le occhiate, c’è chi resiste, chi si espone, chi cammina a testa alta.
Quel Pride – voluto, organizzato e sostenuto da attivistə che si fanno chiamare Provincialotta – ha scelto il Canavese come terra di sfida e di dignità. Ogni anno, centinaia di persone marciano sotto il sole, tra striscioni e slogan, per ricordare che la provincia non è un luogo minore. È una frontiera. Una trincea.
Ma quanto è fragile quella trincea, se basta un pomeriggio qualunque perché quindici ragazzi e un adulto si sentano autorizzati a circondare una persona e picchiarla perché trans? Quanto è debole la cultura della tolleranza se le differenze fanno ancora paura, se l’educazione civica evapora nel branco, se la violenza passa per normalità adolescenziale?
L'aggressione di martedì è lo specchio di un Paese che non ha ancora fatto pace con se stesso. Non basta più indignarsi, non basta più sfilare una volta all’anno. Serve qualcosa di più profondo: una rivoluzione culturale che parta dalle scuole, dalle famiglie, dai bar di paese. Che faccia i conti con l’omertà e con la vergogna. Che educa al rispetto e che punisce – senza esitazioni – chi invece pratica l’intolleranza.
Il Codice Rosso ha fatto il suo dovere: attivazione immediata, identificazioni, segnalazioni. Ma la legge da sola non basta. Serve che le comunità locali sappiano prendersi cura dei propri corpi più fragili, che li sappiano proteggere, non solo celebrare durante le manifestazioni pubbliche. E serve che, quando una persona trans cammina per strada, nessuno senta il diritto di fermarla, umiliarla o colpirla.
Ciriè ha scelto, da quattro anni, di essere un simbolo di apertura. Ma non basta ospitare un Pride per potersi dire una città sicura. La sicurezza non è una dichiarazione, è un’azione quotidiana. Sono i silenzi che si rompono, gli sguardi che si schierano, i gesti che non si tollerano più.
In provincia, la violenza è più subdola, più mimetizzata, spesso più difficile da denunciare. Ed è per questo che episodi come questo devono essere raccontati senza pudore, senza edulcorazioni. Devono entrare nel dibattito pubblico, scuotere le coscienze, obbligare chi amministra a fare di più.
Quella ragazza, martedì pomeriggio, non era sola. E oggi possiamo dirlo proprio perché ha avuto il coraggio di denunciare. Ma quante altre restano in silenzio? Quante cedono al ricatto sociale, alla paura di non essere credute, alla voglia di lasciar perdere?
A Ciriè, a giugno, si è ballato per i diritti. Ora, però, si deve marciare per la giustizia. E per non dover più scrivere che, nel 2025, una persona viene ancora aggredita perché ha avuto il coraggio di essere se stessa.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.