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Cronaca
23 Luglio 2025 - 11:49
Assolto dallo stupro della cugina di 14 anni, ma resta indagato per altri due casi di abusi su minori
Ha 35 anni l’uomo assolto dal tribunale di Vercelli con l’accusa gravissima di violenza sessuale sulla cugina quattordicenne. Il processo, conclusosi con una sentenza che ha fatto scalpore, si è chiuso dopo che lo stesso pubblico ministero, Francesco Condomitti, ha chiesto l’assoluzione dell’imputato, ritenendo inattendibile la versione fornita dalla giovane. Una decisione che ha fatto discutere dentro e fuori l’aula, alimentando interrogativi profondi sul trattamento delle denunce di violenza sessuale in cui sono coinvolti minori, specie quando la parola della vittima viene sistematicamente messa in discussione.
Il fatto risale al dicembre 2023. In un contesto privato, nel piccolo comune di Livorno Ferraris, la ragazza e l’uomo si sarebbero appartati dopo aver consumato uno spinello. Secondo la ricostruzione iniziale dell’accusa, la quattordicenne, dopo aver fumato, si sarebbe sentita male e avrebbe perso i sensi, situazione che sarebbe stata sfruttata dal 35enne per compiere l’abuso. Ma il racconto della giovane non è stato portato subito all’attenzione della magistratura. La ragazza, infatti, non denunciò immediatamente i fatti, ma si confidò alcuni mesi dopo con un’amica, che a sua volta coinvolse una terza coetanea. Solo da qui partì una segnalazione ai servizi sociali, che attivarono la macchina investigativa.
Le indagini, condotte dalla squadra mobile, si sono da subito rivelate complesse e controverse. Gli investigatori hanno messo in dubbio l’affidabilità della vittima, ma anche quella delle due amiche che l’avevano ascoltata e supportata. Le ragazze sono state descritte, negli atti ufficiali, come abituate all’uso di sostanze stupefacenti e a frequentazioni sessuali giudicate “promiscue”, un linguaggio che ha suscitato polemiche. L’immagine tratteggiata dagli inquirenti ha avuto un peso determinante nell’orientare la richiesta di assoluzione, formulata dal PM e pienamente accolta dal giudice. Per la procura, in sintesi, non c’erano elementi sufficienti per sostenere un processo penale basato su accuse così gravi.
Durante l’udienza, la difesa — affidata all’avvocata Francesca D’Urzo — ha puntato tutto sull’inattendibilità della presunta vittima, sostenendo che le sue dichiarazioni erano confuse, tardive e non corroborate da evidenze oggettive. Nessuna testimonianza terza, nessun referto medico che potesse confermare l’accaduto, nessun riscontro che potesse ribaltare la presunzione d’innocenza dell’imputato.
L’uomo ha negato con fermezza ogni accusa, ribadendo di non aver mai approfittato della ragazza. Il suo racconto, privo di contraddizioni, ha trovato maggiore credito rispetto a quello della cugina. Ed è su questo equilibrio — fragilissimo e sempre difficile — che la giudice ha fondato la decisione di assoluzione.
Ma se la sentenza lo scagiona in questo caso, la sua posizione non è affatto al sicuro. A carico del 35enne sono attualmente in corso altre due indagini per presunti abusi su minori, in contesti differenti ma con dinamiche in parte simili. Non sono emersi ancora dettagli precisi, ma si tratta di episodi su cui la procura ha aperto fascicoli autonomi e che potrebbero portare, nelle prossime settimane, a nuove iscrizioni nel registro degli indagati o addirittura a nuove richieste di misura cautelare, qualora si configurasse un rischio di reiterazione.
La vicenda ha acceso un acceso dibattito tra garantisti e centri antiviolenza, tra chi difende la necessità di valutare ogni caso sulla base di prove concrete, e chi teme che la giustizia italiana continui a sottovalutare la parola delle vittime, soprattutto se giovani e socialmente fragili. In molti hanno contestato l’uso di espressioni come “stile di vita dissoluto” riferite a delle adolescenti, perché rischiano di spostare il giudizio sulla condotta della vittima invece che su quella dell’imputato.
Anche alcuni psicologi e assistenti sociali coinvolti nei tavoli regionali contro la violenza hanno espresso preoccupazione per una narrazione che colpevolizza le vittime, in particolare nei contesti familiari e ristretti come quello in cui è maturata questa storia. Il fatto che la ragazza non abbia parlato subito e si sia confidata solo dopo mesi non dovrebbe — a detta di molti — essere interpretato come segno di inattendibilità, ma come un indicatore del trauma e della paura che spesso impediscono alle minori di denunciare.
D’altro canto, la sentenza è stata accolta con favore da alcuni esponenti della comunità locale, che hanno evidenziato l’importanza della presunzione di innocenza e la pericolosità delle accuse infondate, soprattutto quando provengono da persone molto giovani, in contesti familiari delicati e segnati da dinamiche relazionali poco chiare.
Resta però una certezza: questo caso non si chiude con una verità definitiva. La giustizia ha assolto l’uomo per mancanza di prove sufficienti, ma non ha accertato se l’abuso sia avvenuto o meno. E finché ci saranno altri fascicoli aperti a suo carico, l’ombra del sospetto continuerà a pesare.
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