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Cronaca

Ciclista travolto e ucciso da volante della polizia, chiesto un anno e mezzo all’agente

Il PM accusa di omicidio stradale l’agente alla guida: “Risarciti i familiari, ma resta una tragedia evitabile”

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È durata pochi secondi la traiettoria mortale che il 33enne Francesco Convertini ha incrociato con la volante della polizia che lo ha investito nel giugno 2022 a Torino, all’altezza del Rondò Rivella. Ma sono anni che quella tragedia reclama giustizia. E ora la Procura ha fatto la sua mossa: il pubblico ministero Marco Sanini ha chiesto un anno e sei mesi di reclusione per l’agente alla guida, imputato per omicidio stradale.

Un capo d’imputazione pesante, ma su cui il magistrato ha precisato che la pena proposta "è di poco superiore al minimo", tenendo conto delle attenuanti generiche, del comportamento processuale e soprattutto del fatto che il poliziotto ha risarcito i familiari della vittima.

Francesco Convertini, originario di Locorotondo (Bari), si trovava a Torino per lavoro. Designer, ciclista appassionato, è morto sul colpo dopo essere stato travolto. Sulla volante c’era un uomo fermato per accertamenti, ma secondo l’accusa la presenza del fermato non giustificava una condotta di guida tale da mettere in pericolo la vita altrui. In quel tratto urbano, la prudenza era d’obbligo.

Di diverso avviso il difensore dell’agente, l’avvocato Davide Cangemi, che ha chiesto l’assoluzione del proprio assistito, sostenendo che non ci siano gli estremi per configurare un comportamento penalmente rilevante: "Ci uniamo al dolore dei familiari del povero Convertini, un dolore immenso che non possiamo capire", ha detto il legale in apertura di arringa. E ha anche voluto rendere noto che la madre del poliziotto ha scritto una lettera di cordoglio indirizzata ai familiari della vittima.

Resta il fatto che un ciclista è morto, e che è morto non per un malore o per una tragica fatalità, ma perché è stato travolto da un’auto della polizia. Mezzo che, per definizione, dovrebbe garantire sicurezza, non seminare morte.

E resta anche una contraddizione: in un’epoca in cui Torino si proclama città “bike friendly”, in cui si moltiplicano piste ciclabili e promozioni della mobilità sostenibile, il caso Convertini dimostra quanto vulnerabili restino i ciclisti. Non solo nel traffico ordinario, ma persino nei confronti dei mezzi istituzionali. Un fallimento doppio, dunque: urbano e istituzionale.

Nelle prossime settimane si attende la decisione del giudice. Ma qualunque sia la sentenza, la città ha già perso: ha perso un giovane, ha perso credibilità nel promuovere una mobilità alternativa, ha perso un’occasione per dare peso reale alle parole “sicurezza stradale”.

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