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Cronaca

Strade insanguinate, weekend da incubo: 28 morti in tre giorni

Motociclisti e giovanissimi tra le vittime: in Emilia-Romagna il bilancio peggiore, ma l’emergenza è nazionale

Strade insanguinate

Strade insanguinate, weekend da incubo: 28 morti in tre giorni

Il bilancio è pesante, ripetitivo, tragico. Ventotto morti in sole 72 ore, da venerdì 18 a domenica 20 luglio. È il numero di vittime della strada rilevato dall’Asaps (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale), che ogni settimana pubblica un monitoraggio accurato della carneficina che si consuma tra asfalto e guardrail. Un dato solo lievemente inferiore a quello del weekend precedente, quando i decessi erano stati 29, e che conferma una strage silenziosa ma continua, consumata nella distrazione generale.

Le vittime avevano tra i 16 e gli 87 anni. Dieci di loro non avevano ancora compiuto 35 anni, a testimonianza di quanto le giovani generazioni continuino a pagare un prezzo altissimo alla mobilità. I due più giovani, sedicenni, sono morti in incidenti separati. Uno di loro viaggiava probabilmente in moto o su un ciclomotore, un altro in auto come passeggero. Dettagli che cambiano poco: non c’è sicurezza sulle strade italiane, né di giorno né di notte.

Ma il dato che più colpisce è quello legato ai motociclisti: 16 morti su 28. Più della metà delle vittime. Un dato drammatico, che conferma quanto l’estate sia il periodo nero per chi si sposta su due ruote, complici l’aumento del traffico, le vacanze, la guida sportiva, l’asfalto bollente e spesso inadeguato. Seguono 7 automobilisti, 2 pedoni, 2 ciclisti e un conducente di monopattino, altro segnale che tutti gli utenti della strada sono esposti, nessuno escluso.

La geografia del sangue disegna una mappa che non risparmia nessuno, ma che vede alcune regioni in particolare evidenza. L’Emilia-Romagna, con 6 morti (5 dei quali in moto), si conferma la regione con il maggior numero di vittime. Seguono Lombardia con 4, Puglia con 3, poi Veneto, Piemonte, Toscana, Lazio e Sicilia con 2, e infine Liguria, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Campania e Sardegna con 1 decesso ciascuna. Una carneficina che copre l’intera penisola, da nord a sud, dalle Alpi al mare.

Due episodi hanno avuto esiti plurimortali, con un totale di 4 morti. In altri 9 casi, la causa è stata la fuoriuscita del veicolo senza coinvolgimento di terzi, segno che la velocità, l’imprudenza o la stanchezza restano fattori determinanti anche in assenza di traffico o scontri multipli. La maggior parte degli incidenti è avvenuta su strade statali e provinciali, ben 14 su 28, ancora una volta a dimostrazione che non sono le autostrade il vero pericolo, ma le strade ordinarie, spesso mal progettate, poco illuminate e con standard di sicurezza insufficienti.

Un’altra nota significativa riguarda il fatto che nel conteggio di Asaps sono inclusi tre decessi avvenuti in settimana, ma legati a incidenti avvenuti nel weekend precedente. Due giovani di 16 e 27 anni e un uomo di 78, morti dopo giorni di agonia in ospedale, e che allungano la lista nera anche oltre il tempo reale della collisione.

La domanda che si pone da anni, e che resta senza risposta concreta, è sempre la stessa: cosa si sta facendo davvero per fermare questa ecatombe? I numeri di Asaps sono impietosi ma non sorprendenti: da mesi l’associazione di Forlì, fondata da agenti della Polizia Stradale, denuncia l’inerzia istituzionale, l’assenza di una strategia nazionale integrata, la mancata applicazione di leggi già esistenti e la cronica carenza di controlli.

Le campagne sulla sicurezza stradale si moltiplicano, ma troppo spesso restano spot senza ricadute concrete. La riforma del Codice della Strada, annunciata più volte, è ancora parzialmente bloccata tra emendamenti e rinvii, e i controlli su alcool e droghe alla guida non hanno visto quell’intensificazione promessa da anni. Eppure, quasi ogni settimana si contano giovani ubriachi o sotto effetto di sostanze coinvolti in tragedie, spesso senza patente o con veicoli non in regola.

Serve una svolta culturale, ma anche tecnica e politica. Le strade italiane sono spesso datate, senza barriere, con segnaletica scarsa, asfalto deteriorato, curve pericolose e incroci mal progettati. E la manutenzione è affidata a enti diversi, spesso con risorse insufficienti. A questo si aggiunge il problema dell’eccesso di velocità, ancora largamente tollerato, e della guida distratta: il cellulare in mano è ormai una pandemia stradale, ma i controlli sono quasi assenti.

Le statistiche, da sole, non bastano a raccontare il dramma umano che c’è dietro ogni numero. Dietro ognuno di quei 28 nomi, c’è una famiglia distrutta, un funerale improvviso, un vuoto che nessun risarcimento potrà colmare. E in molti casi ci sono anche feriti gravi, che non finiscono nelle tabelle ma che porteranno le conseguenze per tutta la vita.

Non si tratta solo di fatalità. Molti di questi morti si potevano evitare. Con un limite di velocità rispettato, un casco ben allacciato, una cintura tirata, un sorpasso evitato. E con una politica pubblica all’altezza, capace di mettere la sicurezza stradale tra le priorità del Paese, e non tra i titoli di coda.

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