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Cronaca
11 Luglio 2025 - 17:17
“Farai la fine di Giulia Cecchettin”: condannato a quattro anni il rapper Amnesia. Maltrattamenti aggravati sulla ex
Quattro anni di reclusione e una condanna che pesa come un macigno. Il tribunale di Torino, presieduto dalla giudice Elisabetta Chinaglia, ha accolto nel pomeriggio di oggi, venerdì 11 luglio 2025, le richieste della procura, condannando Lorenzo Venera, 36 anni, conosciuto come Amnesia, nome d’arte con cui aveva raggiunto la popolarità partecipando al talent show Amici su Canale 5. L’accusa era di maltrattamenti aggravati nei confronti della sua ex compagna, oggi 31enne, e madre di sua figlia.
Secondo il pm Barbara Badellino, l’artista avrebbe vessato e minacciato la donna con frasi pesantissime, tra cui: “Farai la fine di Giulia Cecchettin o di Giulia Tramontano”, i nomi di due giovani donne simbolo della tragica escalation di femminicidi che sta colpendo l’Italia. Un’allusione macabra e inquietante, pronunciata — secondo la vittima — con freddezza e ripetuta più volte. Un modo per intimidirla, per farle sentire che anche lei avrebbe potuto essere annientata.
La donna, che ha avuto il coraggio di testimoniare in aula, si è costituita parte civile attraverso l’avvocata Gabriella Boero, la quale ha ottenuto il riconoscimento di una provvisionale da 10mila euro per la sua assistita e 5mila euro per la figlia, anche lei coinvolta nel clima familiare di paura e violenza psicologica. “Il tribunale ha riconosciuto come sono andate le cose” ha dichiarato Boero all’uscita dall’aula, con un sollievo che non cancella però l’amarezza per una vicenda dolorosa che si è protratta per anni.
Venera si trova attualmente agli arresti domiciliari, ma nonostante la condanna, continua a proclamarsi innocente. La sua carriera musicale, che aveva conosciuto una breve notorietà grazie alla tv, si è di fatto interrotta da tempo, offuscata da una serie di comportamenti che, oggi, trovano conferma anche in sede giudiziaria.
Il caso di Amnesia si inserisce in un contesto sociale in cui la lotta alla violenza di genere resta una priorità ancora troppo spesso disattesa. Nonostante i proclami e le campagne istituzionali, le minacce, le percosse, gli abusi verbali e psicologici continuano a colpire donne e minori, spesso nel silenzio e nell’isolamento. E sono proprio le frasi pronunciate dall’imputato — che evocano due tragedie freschissime nella memoria collettiva — a rendere ancora più drammatica la narrazione di questo processo.
La sentenza del tribunale torinese non è solo una condanna individuale, ma anche un segnale forte in un momento in cui il dibattito pubblico si interroga sull’efficacia delle leggi esistenti e sulla necessità di strumenti più incisivi per proteggere le vittime, ascoltarle, credergli e — soprattutto — intervenire prima che sia troppo tardi.
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