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Cronaca

"Allah è grande, tu sei una put**na", violenza in famiglia a Torino: a salvare la mamma ci pensa il figlio di 7 anni

Un bambino denuncia il padre violento: la madre costretta a vivere secondo la Sharia a Torino

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"Allah è grande, tu sei una put**na": l'uomo è stato denunciato dal figlio di 7 anni

Il 21 marzo 2025, Torino è stata scossa da una notizia che ha rivelato un dramma familiare nascosto tra le mura domestiche. Un bambino di soli sette anni, con la sua innocenza e il suo coraggio, è riuscito a rompere il silenzio che avvolgeva la sua famiglia, denunciando le violenze subite dalla madre per mano del padre. Questo gesto straordinario ha portato alla luce una realtà di soprusi e sofferenza, celata dietro la facciata di una normale famiglia residente nel capoluogo piemontese.

Il piccolo, figlio di una coppia di genitori egiziani, era l'unico in famiglia autorizzato a frequentare la scuola. Questa opportunità gli ha permesso di imparare l'italiano, diventando così l'unico ponte tra la sua famiglia e il mondo esterno. Grazie a questa conoscenza, il bambino ha potuto chiedere aiuto, contattando le autorità e denunciando le violenze che la madre subiva quotidianamente. Un gesto che ha richiesto un coraggio straordinario, soprattutto per un bambino della sua età. La madre, venduta come sposa, viveva in condizioni di estrema oppressione.

Costretta a seguire la legge islamica, era sottoposta a continui abusi fisici e psicologici. Non poteva uscire di casa se non accompagnata dal marito, non le era permesso imparare l'italiano né lavorare. In caso di gravidanza, era obbligata ad abortire se il feto era di sesso femminile. Una vita di privazioni e umiliazioni, vigilata non solo dal marito, ma anche dalla suocera e dalla cognata, che contribuivano a mantenere il controllo su di lei.

La denuncia del bambino ha portato all'intervento della giustizia. La giudice per le indagini preliminari, Odilia Meroni, ha emesso un ordine restrittivo nei confronti del padre, imponendogli il divieto di avvicinamento a meno di un chilometro dalla moglie e dai figli, oltre al divieto di comunicazione e l'obbligo di indossare un braccialetto elettronico. Una misura necessaria per garantire la sicurezza della donna e dei suoi figli, e per porre fine a una situazione di violenza che durava da troppo tempo. "O mi obbedisci o ti ripudio. Allah è grande, tu sei una puttana."

Queste le parole che la donna era costretta a sentire ogni giorno, un mantra di umiliazione e disprezzo che accompagnava le violenze fisiche. Parole che feriscono quanto e più dei colpi, che lasciano cicatrici invisibili ma profonde nell'animo di chi le subisce. Un clima di terrore e sofferenza che solo il coraggio di un bambino è riuscito a spezzare. La storia di questo bambino e della sua famiglia è un esempio di come anche i più piccoli possano fare la differenza.

Il gesto di questo bambino ci ricorda l'importanza di ascoltare e dare voce a chi non può difendersi da solo. Un monito per tutti noi a non voltare lo sguardo di fronte alla sofferenza altrui, ma a intervenire per aiutare chi è in difficoltà. Ora, la madre e i suoi figli si trovano di fronte a un futuro incerto. La strada verso la libertà e la serenità è ancora lunga e piena di ostacoli, ma il primo passo è stato fatto. Grazie al coraggio del suo bambino, la donna ha finalmente la possibilità di ricostruire la sua vita lontano dalla violenza e dall'oppressione.

Un percorso che richiederà tempo e supporto, ma che rappresenta una nuova speranza per lei e per i suoi figli. Questo caso mette in evidenza la vulnerabilità delle donne migranti, spesso esposte a una doppia discriminazione: quella di genere e quella legata alla loro condizione di immigrate. Secondo una ricerca della Fondazione ISMU, le donne migranti sono particolarmente esposte a violenze multiple durante i percorsi migratori e nel paese di accoglienza.

La mancanza di una rete sociale, la scarsa conoscenza della lingua e delle leggi locali le rende più suscettibili agli abusi e meno propense a denunciarli. In Italia, esistono strumenti legali per proteggere le vittime di violenza domestica. La legge prevede l'ordine di protezione, che può imporre al maltrattante l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima.

Inoltre, la Riforma Cartabia, entrata in vigore nel marzo 2023, ha introdotto nuove misure per accelerare i procedimenti in materia di famiglia e rafforzare le tutele per le vittime di violenza domestica. Tuttavia, l'accesso a queste tutele da parte delle donne migranti è spesso ostacolato da barriere linguistiche, culturali e burocratiche. È fondamentale che le istituzioni e le organizzazioni non governative lavorino insieme per garantire che queste donne possano accedere alle informazioni e ai servizi di supporto necessari. La formazione di mediatori culturali e operatori sociali specializzati può facilitare questo processo, creando un ponte tra le comunità migranti e le risorse disponibili.

La storia di Torino ci insegna anche l'importanza dell'educazione e dell'integrazione. Il fatto che il bambino abbia potuto frequentare la scuola e imparare l'italiano è stato cruciale per la denuncia degli abusi. Questo sottolinea quanto sia fondamentale garantire l'accesso all'istruzione per tutti i minori, indipendentemente dalla loro origine, e promuovere l'inclusione sociale delle famiglie migranti.

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