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Cronaca

"O mi sposi o ti ammazzo": la lunga lotta di una donna contro la violenza domestica

Una storia di abusi e minacce, tra denunce e silenzi, raccontata in aula da una donna coraggiosa

"O mi sposi o ti ammazzo"

"O mi sposi o ti ammazzo": la lunga lotta di una donna contro la violenza domestica

In un’aula del tribunale di Torino, il 20 marzo 2025, è emersa una testimonianza che scuote le coscienze. Una donna marocchina, residente in Italia dal 2008, ha raccontato una lunga serie di abusi iniziata con un matrimonio forzato. Il suo racconto, denso di dolore e forza, descrive un'esperienza di oppressione che dura da più di quindici anni. Lui era senza permesso di soggiorno, lei sì. Ed è proprio su questa differenza che nasce il ricatto: “O mi sposi o ti ammazzo”.

Costretta da questa minaccia, la donna accetta un’unione che si trasforma presto in una prigione. A partire dal 2009, data del matrimonio, iniziano le violenze. Una spirale di soprusi che si consuma in diverse case, spesso in condizioni disumane, come uno scantinato dove la donna ha vissuto sotto continue botte, umiliazioni e intimidazioni. Secondo la sua testimonianza, l’uomo usciva spesso di notte per attività illegali, e lei veniva regolarmente picchiata, tirata per i capelli, minacciata con il coltello, presa a schiaffi.

Una quotidianità fatta di terrore, dove la paura era l’unico filo conduttore. Ma il momento più devastante arriva nel 2017, quando, incinta, continua a subire percosse per giorni. Fino a un’emorragia che la costringe a scappare in strada. Sono i vicini a salvarla, chiamando un’ambulanza.

Il bambino che portava in grembo non sopravvive. Una tragedia nella tragedia, che lascia un segno indelebile. Nonostante tutto, la donna trova il coraggio di denunciare. Una querela era già stata ritirata in passato, ma ora, sostenuta da educatrici e operatori, si presenta in aula e racconta tutto. Parla anche della continua presenza dell’uomo vicino a casa sua, violando il divieto di avvicinamento. Un fatto che testimonia quanto sia difficile, anche dopo la denuncia, liberarsi davvero da chi ha esercitato tanto controllo e violenza. L’uomo è in aula, in silenzio, al fianco della sua avvocata. Avrà modo di difendersi nelle prossime udienze, ma per ora resta la voce di lei, chiara, ferma, carica di dolore.

Il processo riprenderà a maggio. Questa storia si inserisce in un contesto più ampio e allarmante: in Italia, i matrimoni forzati esistono, anche se spesso restano sommersi. Una norma introdotta nel 2019 punisce con pene severe chi costringe qualcuno a sposarsi con violenza o minacce, ma le difficoltà culturali, la paura e la mancanza di supporto rendono la denuncia un passo difficile per molte donne.

Sul fronte della violenza domestica, i numeri parlano chiaro: ogni anno migliaia di donne si rivolgono ai centri antiviolenza, con un aumento costante delle richieste di aiuto. Le misure legislative, come il “Codice Rosso”, hanno velocizzato le procedure di intervento, ma la prevenzione resta un nodo cruciale. La storia di questa donna marocchina è una ferita aperta, ma anche un esempio di resistenza. Una voce che si alza nel silenzio e chiede giustizia. Per sé stessa e per tutte le altre che vivono, ogni giorno, prigioni simili.

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