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Cronaca

Accoltellamento sul bus 72 a Torino: la decisione del Giudice per il 27enne albanese

Il processo di primo grado si conclude con una condanna ridotta per l'aggressore, esclusa l'aggravante dei futili motivi

Accoltellamento

Accoltellamento sul bus 72 a Torino: la decisione del Giudice per il 27enne albanese

Un episodio di violenza improvvisa, avvenuto in pieno giorno su un mezzo pubblico, ha scosso la città e oggi trova una prima risposta nelle aule di tribunale. Il 27enne di origine albanese, responsabile dell'accoltellamento avvenuto il 14 agosto 2024 a bordo di un bus della linea 72 in corso Mortara, è stato condannato a sei anni di reclusione. Il verdetto non soddisfa pienamente l’accusa, che aveva richiesto una pena superiore ai dieci anni, ma segna un punto fermo nella ricerca di giustizia per la vittima, un giovane poco più grande dell’aggressore, colpito con almeno nove coltellate in un attacco improvviso e apparentemente senza motivo.

Il caso ha suscitato sgomento e paura, non solo per la brutalità del gesto, ma anche per la sua imprevedibilità: i due uomini non si conoscevano e il loro incontro è stato del tutto casuale. Tuttavia, in pochi istanti, la vita di entrambi è cambiata radicalmente. L’aggressore, difeso dagli avvocati Wilmer e Manuel Perga, ha sferrato i colpi con ferocia, scatenando il panico tra i passeggeri. La vittima, assistita dall’avvocato Alberto Bosio, ha riportato ferite giudicate guaribili in cinque settimane, ma il trauma psicologico resterà molto più a lungo.

Le indagini hanno portato alla luce un profilo complesso dell’imputato, un giovane descritto come fragile, con un passato segnato da esperienze drammatiche. Pur non essendo stato giudicato incapace di intendere e di volere, il quadro psicologico emerso ha evidenziato la presenza di un disturbo narcisistico di personalità. L’uomo aveva inoltre denunciato di aver vissuto episodi traumatici, tra cui una truffa legata alle criptovalute e presunti maltrattamenti in una comunità per minorenni.

Documenti presentati dalla difesa hanno rivelato che l’aggressore era ossessionato da visioni di demoni e aveva più volte richiesto di essere assistito da un esorcista. Questo aspetto ha influito sulla valutazione della dinamica dei fatti, spingendo il giudice a escludere l'aggravante dei futili motivi e a ridimensionare la richiesta della pubblica accusa.

Il pubblico ministero Giovanni Caspani aveva richiesto una pena superiore ai dieci anni, sostenendo che l’aggressione fosse scaturita da uno stato di frustrazione legato alla storia personale dell’imputato. Il giudice, pur riconoscendo la gravità del gesto, ha optato per una condanna più lieve, includendo una provvisionale immediata di 10.000 euro da versare alla vittima, a titolo di anticipo su un risarcimento che verrà quantificato in un secondo momento.

Il caso solleva una serie di interrogativi che vanno oltre la sfera giudiziaria, toccando temi più ampi di sicurezza urbana, disagio psichico e prevenzione della violenza.

Come si può intervenire affinché individui con storie così complesse non si trasformino in potenziali autori di atti violenti? Quali strumenti possono essere messi in campo per supportare persone che, come l’aggressore, oscillano tra realtà e percezioni distorte? La risposta non può arrivare solo dai tribunali, ma deve coinvolgere l’intero sistema sociale e sanitario, affinché episodi simili non si ripetano. La sentenza non è la conclusione di questa vicenda, ma un punto di partenza per una riflessione più ampia: in un contesto in cui la violenza urbana sembra sempre più frequente, è necessario trovare un equilibrio tra giustizia, sicurezza e intervento sulle fragilità sociali.

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