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Giudiziaria
12 Novembre 2024 - 22:30
Ha fatto lavorare per qualche anno nel suo negozio, a Torino, uno dei killer di Bruno Caccia, il magistrato ucciso nel capoluogo piemontese per mano della 'ndrangheta nel 1983.
Ora il Tar del Piemonte ha confermato l'interdittiva antimafia spiccata nei suoi confronti nel 2021. L'uomo, un piccolo commerciante, non è mai stato coinvolto nelle indagini sul delitto, per il quale, invece, è stato condannato all'ergastolo (nel 2020) il suo dipendente, Rocco Schirripa, con il quale ha dei legami di parentela.
L'interdittiva era stata adottata dalla prefettura sulla base di quanto emerso nel corso dell'inchiesta Minotauro, sfociata nel 2011 in una serie di arresti.
Schirripa, che fu imputato per il favoreggiamento di un latitante, si sarebbe servito anche del telefono del negozio per tenere i contatti con i clan.
Il commerciante, che è stato difeso dall'avvocato Basilio Foti, era stato scagionato dalla medesima accusa di favoreggiamento ma, secondo il Tar, non fu soltanto uno "spettatore inconsapevole" e, anzi, manifestò una certa "familiarità" e "disponibilità".
L'interdittiva antimafia è un provvedimento che ha come obiettivo scongiurare le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle imprese. In questo caso specifico, secondo quanto si apprende, non ha comportato la chiusura dell'attività, ma ha imposto una serie di limitazioni.
Rocco Schirripa, nato a Gioiosa Ionica (Reggio Calabria), si trasferisce a Torino negli anni '70, stabilendosi a Torrazza Piemonte. Sebbene ufficialmente esercitasse la professione di panettiere, le indagini rivelano il suo coinvolgimento in attività illecite legate alla 'ndrangheta.
Negli anni '90, viene arrestato per traffico internazionale di stupefacenti e sconta diversi anni di carcere. Successivamente, nel 2011, viene accertato il suo coinvolgimento nell'operazione "Minotauro", un'indagine sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Piemonte, che porta a numerosi arresti. In quell'occasione, Schirripa patteggia una pena di un anno e otto mesi.
Nel 2015, a seguito di nuove indagini, Schirripa viene arrestato con l'accusa di essere uno degli esecutori materiali dell'omicidio del procuratore Bruno Caccia, avvenuto nel 1983. Le autorità utilizzano una strategia investigativa innovativa: inviano una lettera anonima contenente una fotocopia di un articolo di giornale dell'epoca con il nome di Schirripa scritto sul retro. Le reazioni intercettate a seguito di questa lettera forniscono elementi decisivi per l'accusa.
Nel 2017, la Corte d'Assise di Milano condanna Schirripa all'ergastolo per l'omicidio di Caccia. La sentenza viene confermata in appello nel 2019 e in Cassazione nel 2020.
Nonostante la confisca della sua villa a Torrazza Piemonte nel 1998, i familiari di Schirripa continuano a risiedervi fino al 2022, quando le autorità eseguono lo sgombero dell'immobile.
Nel febbraio 2024, Schirripa scrive una lettera dal carcere ai figli del procuratore Caccia, dichiarando la propria innocenza e affermando di essere stato condannato ingiustamente. Ammette di aver fornito un'auto ai killer, ma senza essere a conoscenza del suo utilizzo per l'omicidio.
Nonostante le condanne definitive, il caso dell'omicidio Caccia presenta ancora aspetti irrisolti. Nel luglio 2022, la Procura Generale di Milano ha riaperto le indagini, raccogliendo nuove dichiarazioni e cercando di fare luce su eventuali ulteriori responsabilità
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