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Zangrillo alza il tiro: «Askatasuna un centro culturale? Balle!»

Dalle parole durissime dei ministri al silenzio sulle coincidenze storiche del 18 dicembre, la città resta sospesa tra legalità, memoria e tensione

Zangrillo alza il tiro su Askatasuna

Zangrillo alza il tiro su Askatasuna

Il caso Askatasuna continua a scuotere Torino, non solo per lo sgombero dello storico centro sociale ma per tutto ciò che, politicamente e simbolicamente, si porta dietro. Mentre il sindaco Stefano Lo Russo tenta di mantenere aperto un canale di dialogo e si esprime sulla linea adottata dal Governo, dal fronte istituzionale arrivano prese di posizione nette e compatte a difesa dell’intervento delle forze dell’ordine, con toni che segnano uno spartiacque profondo nel dibattito cittadino.

A Torino, a margine di un evento all’ospedale infantile Regina Margherita, il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha respinto senza mezzi termini la narrazione che negli anni ha accompagnato Askatasuna. «Askatasuna un centro culturale? Balle», ha dichiarato, aggiungendo che si trattava di «un centro dell’eversione». Per Zangrillo, lo sgombero rappresenta un passaggio necessario e non rinviabile: «Lo sgombero del centro sociale Askatasuna è stata una bella notizia per Torino ma anche per l’Italia». Il ministro ha poi spiegato che, nel tempo, quella realtà era diventata «il riferimento dell’antagonismo non solo a livello territoriale, ma anche a livello nazionale», tornando a ribadire che «tutti i racconti su un centro culturale dove si faceva inclusione e cultura sono delle balle».

Sulla stessa linea si è espresso il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenuto anch’egli dal Regina Margherita. La sua posizione è stata improntata al richiamo alla legalità e alla condanna della violenza. «La legge deve essere sempre rispettata e lo Stato non può restare immobile di fronte alla violenza», ha affermato, ribadendo che il diritto a manifestare non può mai trasformarsi in aggressioni o devastazioni. «Aggredire le forze dell’ordine o colpire beni pubblici e privati è inaccettabile», ha sottolineato, chiarendo che non solo i fatti ma anche «i messaggi violenti» non possono essere tollerati. In un altro passaggio, Tajani ha attaccato direttamente una parte dei manifestanti: «Tanti di questi sono figli di papà che se la prendono con i figli del popolo». E ha concluso con una linea di fermezza: «Certamente non ci facciamo intimidire».

A rafforzare il fronte istituzionale è intervenuto anche il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che ha espresso soddisfazione per l’operato delle autorità. «Mi auguro che da oggi inizi un epilogo diverso rispetto agli ultimi trent’anni», ha dichiarato, ringraziando magistratura e forze dell’ordine per il lavoro svolto. Cirio ha ribadito che Torino e il Piemonte «non vogliono campi di battaglia», auspicando una fase nuova dopo decenni di tensioni legate alla presenza del centro sociale.

Accanto al dibattito politico e istituzionale, però, a Torino si è aperta anche un’altra riflessione, più silenziosa ma non meno carica di significati. Lo sgombero di Askatasuna è avvenuto il 18 dicembre, una data che per la città non è neutra. Mentre Torino si prepara a una grande manifestazione e vive giornate di forte presenza delle forze dell’ordine, cresce l’interrogativo sul perché sia stata scelta proprio quella giornata.

Il 18 dicembre è ricordato come il giorno della strage di Torino del 1922, tanto da essere inciso nella memoria urbana con piazza XVIII Dicembre. Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre di quell’anno, una sparatoria in barriera di Nizza tra squadristi e un militante comunista, rimasto ferito, provocò la morte di due giovani fascisti. L’episodio divenne il pretesto per una rappresaglia feroce. All’alba del 18 dicembre le squadre d’azione fasciste, guidate da Piero Brandimarte, si scatenarono nei quartieri operai della città, colpendo chiunque fosse sospettato di antifascismo o riconducibile al movimento operaio. Undici persone vennero uccise.

La coincidenza tra quella data e lo sgombero di Askatasuna ha alimentato interrogativi e inquietudini. È stata una scelta consapevole o una semplice coincidenza? Chi ha deciso l’operazione era a conoscenza del significato storico del 18 dicembre per Torino? Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha autorizzato l’intervento, ne era consapevole? E il gesto di rimuovere dalla finestra di Askatasuna l’immagine di Dante Di Nanni, medaglia d’oro della Resistenza, assume un significato diverso alla luce di quella ricorrenza?

Nella stessa giornata torinese, Paolo Zangrillo ha affrontato anche il tema delle prossime elezioni comunali, lasciando aperta la porta a una possibile candidatura a sindaco. «Se mi chiederanno di fare il sindaco di Torino mi sembrerà quasi un dovere non tirarmi indietro. Dopodiché, confermo che la scelta del candidato sindaco verrà fatta con gli altri alleati della coalizione», ha dichiarato. Il ministro ha però ridimensionato l’ipotesi personale, sottolineando il ruolo di Forza Italia: «Forza Italia dispone di una serie di personaggi che hanno sicuramente i titoli per aspirare a fare il sindaco. La mia candidatura è un’ipotesi che viene dopo tante altre, dopo tante persone che in questi anni si sono dedicati alla città più di me, che come ministro sono stato costretto a starle un po’ lontano».

Domande, prese di posizione e scenari politici che contribuiscono ad allargare il perimetro del caso Askatasuna ben oltre lo sgombero di un edificio. A Torino, oggi, si intrecciano ordine pubblico, memoria storica e futuro politico, mentre la tensione resta alta e il confronto continua.

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