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19 Dicembre 2025 - 19:42
Stefano Lo Russo, Maurizio Marrone
La chiusura di Askatasuna non è solo la fine di un centro sociale. È molto di più. È una sconfitta politica. Ed è anche, volenti o nolenti, l’inizio vero della campagna elettorale a Torino. Con un vincitore chiaro, almeno per ora: l'assessore regionale dei Fratellid'Italia Maurizio Marrone. E con uno sconfitto che prova a mascherare il colpo: Stefano Lo Russo.
Per mesi il sindaco ha raccontato il patto di collaborazione come una scelta “coraggiosa e lungimirante”, un atto alto di politica amministrativa, quasi un esperimento di laboratorio democratico. Marrone, dall’altra parte, ha fatto l’unica cosa che in politica paga sempre: ha semplificato. Ha ripetuto ossessivamente lo stesso messaggio – sgombero, legalità, fine dell’ambiguità – fino a quando la realtà, tra scontri, cariche e sedi di giornali prese d’assalto, ha iniziato a parlargli in favore.
Alla fine è successo esattamente quello che Marrone sosteneva da tempo e che Lo Russo sperava di evitare: Askatasuna è diventata un problema di ordine pubblico prima ancora che un tema politico. E quando accade questo, la partita è persa. Perché il terreno non lo scegli più tu, lo scelgono i fatti. E i fatti, in questo caso, non hanno avuto pietà della narrazione del dialogo.
Il videomessaggio del sindaco arriva tardi e arriva sulla difensiva. È una lunga autoassoluzione politica, costruita per tenere insieme tutto: la rivendicazione del patto, la condanna della violenza, la distinzione tra responsabilità individuali e collettive, la presa di distanza dal Governo. Un tentativo evidente di non perdere definitivamente il controllo del racconto. Ma il racconto, ormai, non è più nelle sue mani.
Perché fuori da Palazzo Civico, nei commenti politici e nei titoli meno indulgenti, la lettura è un’altra: Lo Russo ha dovuto fare ciò che Marrone chiedeva da mesi. E quando sei costretto ad arrivare dove il tuo avversario voleva portarti, non stai guidando, stai inseguendo.
Marrone, dal canto suo, non ha neppure bisogno di esultare. Gli basta indicare il risultato. Il centro sociale è chiuso, il patto è saltato, la linea del dialogo è archiviata. Tutto quello che per mesi è stato bollato come “strumentalizzazione della paura” oggi è diventato un fatto compiuto. In politica, questo si chiama vittoria per sfinimento dell’avversario.
È qui che Askatasuna smette di essere solo Askatasuna e diventa qualcos’altro: il primo vero campo di battaglia elettorale. Non servono comizi, non servono manifesti. Bastano le immagini, le cronache, i nervi scoperti della città. Marrone ha già un messaggio pronto, semplice, spendibile: avevo ragione io. Lo Russo, invece, è costretto a spiegare. E chi spiega, in campagna elettorale, parte sempre svantaggiato.
Da oggi in poi, ogni volta che il sindaco parlerà di dialogo, qualcuno risponderà Askatasuna. Ogni volta che parlerà di coesione, qualcuno ricorderà lo sgombero. È il prezzo politico di una scelta che doveva pacificare e che invece ha polarizzato.
La campagna elettorale a Torino non è iniziata con uno slogan o una candidatura ufficiale. È iniziata con una serranda abbassata in corso Regina Margherita. E, piaccia o no, quel giorno Maurizio Marrone ha segnato il primo punto. Insomma.

Il punto, però, va oltre Askatasuna. Perché questa vicenda non pesa solo per ciò che è stata, ma per ciò che annuncia. La gestione della legalità è il terreno più scivoloso per un sindaco di centrosinistra, soprattutto in una città complessa come Torino.
E quando su quel terreno inciampi, non una ma due volte, il rischio non è una polemica in più sui giornali: è consegnare il Comune al centrodestra. Un altro passo falso, un’altra scelta percepita come ambigua, un’altra narrazione che si incrina tra dialogo e ordine pubblico, e il conto politico diventa salatissimo.
Perché dall’altra parte c’è già chi ha costruito il proprio profilo su un messaggio semplice, martellante e comprensibile a tutti: legalità senza se e senza ma. Se Stefano Lo Russo non riuscirà a ricucire questo strappo con i fatti – non con i video – la partita potrebbe chiudersi prima ancora di entrare nel vivo della campagna elettorale. E allora Askatasuna verrà ricordata non come un esperimento fallito, ma come il momento esatto in cui Torino ha iniziato a cambiare colore politico.
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