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Agricoltura

Sette anni per inquinare ancora: il Piemonte allunga i tempi sull’ammoniaca e scoppia la guerra politica in Consiglio

Una delibera rivede gli standard sugli allevamenti piemontesi, alleggerendo coperture e comunicazioni preventive, mentre l’opposizione avverte: “La crisi climatica corre più veloce delle deroghe”

Sette anni per inquinare

Sette anni per inquinare ancora: il Piemonte allunga i tempi sull’ammoniaca e scoppia la guerra politica in Consiglio

L’aria del Piemonte continuerà a convivere con quote elevate di ammoniaca agricola ancora per molto tempo. Sette anni, per l’esattezza. È questo il nuovo margine concesso alle aziende che si erano adeguate poco prima dell’entrata in vigore del Piano stralcio agricoltura, un’estensione temporale che allunga da cinque a sette gli anni a disposizione per raggiungere gli standard ambientali richiesti. Una scelta che la maggioranza regionale considera un atto di buonsenso, mentre le opposizioni denunciano come l’ennesima proroga ai danni dell’ambiente.

La delibera è stata approvata a maggioranza dal Consiglio regionale del Piemonte, al termine di una seduta che ha rivelato chiaramente la distanza tra le coalizioni. Il presidente della Commissione Agricoltura, Claudio Sacchetto, ha illustrato il provvedimento ricordando le difficoltà economiche e burocratiche degli agricoltori, soprattutto per l’obbligo — ora rimosso — delle coperture fisse sulle letamaie, un intervento considerato troppo costoso e complesso da realizzare. Le aziende, sostiene Sacchetto, potranno comunque ridurre le emissioni grazie a nuove tecnologie, senza essere costrette a scontrarsi con mesi di attese burocratiche nei Comuni per ottenere i permessi edilizi.

La delibera cancella inoltre un altro punto contestato dagli agricoltori: non sarà più necessaria la comunicazione preventiva degli spandimenti, un obbligo introdotto per monitorare in tempo reale le emissioni ma spesso percepito come farraginoso e rigido nelle aree agricole più piccole o periferiche. La Regione parla di “snellimento”, di un sistema più vicino alle esigenze dei territori, e ribadisce che l’obiettivo resta comunque la riduzione dell’impatto ambientale.

A sostenere la linea della maggioranza sono intervenuti in aula i consiglieri Annalisa Beccaria (Forza Italia), Silvio Magliano (Lista Cirio), Roberto Ravello (Fratelli d’Italia) e Marco Protopapa (Lega). Una difesa compatta che ha presentato la delibera come un esempio di “ambientalismo ragionevole”. Secondo i consiglieri, il Piemonte non sta arretrando ma sta adottando un approccio pragmatico, “non ideologico”, in cui le buone pratiche e l’adozione di tecnologie meno impattanti potranno ridurre l’ammoniaca anche più velocemente rispetto a regioni che scelgono imposizioni rigide e costose.

Ma l’opposizione non condivide questa lettura. La critica è netta, frontale, senza sfumature. Alice Ravinale (Avs), Alberto Unia e Sarah Disabato (M5s) hanno parlato apertamente di un testo che “riconosce le difficoltà ma risponde solo con proroghe”, senza proporre un percorso chiaro, né un sistema di verifiche, né tantomeno un sostegno economico adeguato alle aziende che vorrebbero davvero innovare. Per loro, la delibera è un arretramento che non tiene conto del contesto più ampio: una crisi climatica che sta già pesando sul settore agricolo, tra rese calanti, siccità ricorrenti e costi sempre più elevati.

La tensione in aula è salita proprio su questo punto: cosa significa oggi sostenere l’agricoltura? Per la maggioranza, vuol dire alleggerire gli obblighi e garantire margini operativi, evitando di caricare gli agricoltori di ulteriori costi strutturali. Per l’opposizione, vuol dire accompagnare il settore con investimenti, dati aggiornati, regole chiare e un sistema di monitoraggio efficace. Due visioni inconciliabili, che leggono la stessa realtà con chiavi opposte.

La delibera pesa anche sotto un altro aspetto: il Piemonte è una delle regioni italiane con la maggiore presenza di allevamenti intensivi, soprattutto bovini e suinicoli. Le emissioni di ammoniaca non sono un dettaglio: contribuiscono alla formazione delle polveri sottili, quelle stesse PM2.5 e PM10 che collocano spesso Torino e la Pianura Padana nei vertici delle classifiche europee dell’inquinamento. L’ammoniaca che evapora dalle letamaie e dagli spandimenti si lega nell’aria con altri composti, generando particolato secondario molto pericoloso per la salute.

È proprio su questo terreno che l’opposizione ha fatto leva: prorogare significa rallentare gli interventi e, dunque, ritardare la riduzione di una fonte significativa di inquinamento atmosferico. Secondo Ravinale, Unia e Disabato, la Regione avrebbe dovuto puntare su un piano più ambizioso, sostenuto da investimenti e da un controllo puntuale delle emissioni reali. Invece, la scelta è stata quella di differire gli obblighi e rendere più morbidi i vincoli, in nome della compatibilità economica.

La maggioranza, però, ribadisce: le aziende agricole non devono essere soffocate da una burocrazia ingestibile. Le coperture fisse sulle letamaie, spiegano, sarebbero costate decine di migliaia di euro a ciascuna azienda, creando un impatto enorme sui bilanci e alimentando tensioni con gli uffici tecnici comunali. Meglio puntare su sistemi alternativi, su tecnologie che riducono l’evaporazione dell’ammoniaca e sulla formazione degli agricoltori per una gestione più attenta dei liquami.

Il Consiglio, con il voto finale della seduta, ha sancito la strada piemontese: più tempo, meno rigidità, più libertà tecnologica. Ma la partita politica resta aperta, perché la svolta non convince tutti e solleva interrogativi sul rapporto tra sostenibilità e produttività agricola.

Un settore che oggi, nella pianura piemontese, si trova schiacciato tra due pressioni: da una parte la necessità di modernizzare e ridurre l’impatto ambientale, dall’altra la difficoltà concreta di investire in un momento in cui i costi per le aziende crescono e il clima agricolo cambia rapidamente.

Ora si attende la reazione delle associazioni ambientaliste e dei comitati locali, già molto attivi su questi temi. Il dibattito, intanto, sembra solo all’inizio: la delibera offre sette anni di margine, ma la qualità dell’aria, le regole europee e la crisi climatica non concederanno lo stesso tempo.

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