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“L’immondizia è il nuovo oro”: investimenti record, ma il riciclo crolla

Il rapporto Was 2025 fotografa un settore in espansione ma segnato da nodi strutturali, con i termovalorizzatori a rischio aumento dei costi e le filiere del riciclo in affanno

L’immondizia

“L’immondizia è il nuovo oro”: investimenti record ma il riciclo crolla

L’industria italiana dei rifiuti continua a crescere, investe come mai prima e si consolida attorno a grandi gruppi sempre più strutturati. Ma sotto questa superficie positiva emergono crepe profonde che interrogano la tenuta del sistema nei prossimi anni. È questo il quadro che arriva dalla dodicesima edizione del Was Annual Report 2025 di Althesys, una fotografia dettagliata di un comparto da 15,7 miliardi di euro che, nel 2024, ha messo in campo investimenti per 1,2 miliardi, in aumento del 7,6%. Una crescita che, però, convive con difficoltà operative, ritardi territoriali e l’incognita più temuta: il possibile ritorno a un uso più esteso delle discariche.

Il dato che colpisce subito è la dimensione economica raggiunta: gli oltre 200 principali operatori del settore hanno continuato a espandersi, spesso attraverso acquisizioni e accordi, e hanno destinato quasi la metà degli investimenti — circa il 46% — agli impianti, segnando un tentativo concreto di ammodernamento della rete nazionale. Eppure, nonostante lo sforzo finanziario, le filiere del riciclo mostrano segni di cedimento. Alcuni materiali, tra cui i Raee, i rifiuti elettrici ed elettronici, restano difficili da trattare; il riciclo chimico, pur in crescita, non è ancora capace di assorbire i flussi che arrivano dagli impianti; il comparto dei tessili continua a essere tra i più problematici, anche se il Pnrr ha generato 23 progetti dedicati.

Il nodo più critico, però, è quello dei termovalorizzatori. Lo studio rileva come tre regioni abbiano pianificato nuova capacità e una quarta il rinnovo dell’impianto esistente, mentre undici regioni puntano ancora su rinnovamenti o ampliamenti di discariche. A preoccupare gli operatori è soprattutto il 2028, quando il sistema europeo Eu Ets, lo scambio delle quote sulla CO2, potrebbe essere esteso anche agli impianti “waste to energy”. Le simulazioni parlano chiaro: i costi di conferimento potrebbero salire tra 30 e 40 euro a tonnellata, fino a 45 nei calcoli più pessimisti. In altre parole, bruciare rifiuti diventerebbe più caro. Con un risultato paradossale ma già noto agli addetti ai lavori: la discarica tornerebbe a essere la soluzione più economica per alcuni flussi non riciclabili, o addirittura si aprirebbe lo scenario dello smaltimento all’estero.

A sottolinearlo è Alessandro Marangoni, a capo di Althesys, secondo cui il settore cresce ma rimane esposto ai limiti delle pianificazioni regionali e alle incertezze normative. Una parte del Paese, infatti, è ancora indietro sugli obiettivi europei: sette regioni e le due province autonome hanno raggiunto il target della raccolta differenziata, ma solo quattro regioni — tre del Nord e una del Sud — sono già sotto la soglia del 10% di rifiuti smaltiti in discarica, traguardo fissato per il 2030.

Se da un lato le multiutility quotate generano il 36% del fatturato del comparto (4,6 miliardi, 11 milioni di abitanti serviti e 8,1 milioni di tonnellate trattate), dall’altro emergono con forza i numeri dei 70 maggiori operatori dei rifiuti speciali, cresciuti del 17% e capaci di investire il 26% in più rispetto al 2023. Un comparto che si espande, anche perché le imprese private industriali chiedono trattamenti sempre più complessi e personalizzati.

Nella mappa nazionale degli investimenti, è il Nord Ovest a guidare la trasformazione con il 25% dei progetti. È qui che si concentra il maggior numero di impianti innovativi, come quelli del riciclo chimico: attualmente ne sono stati individuati 13, con una capacità totale di 233mila tonnellate annue. Il 57% si trova nelle regioni settentrionali, ma l’interesse cresce anche al Centro-Sud. Molto movimentato anche il settore del trattamento dei pannelli fotovoltaici a fine vita, che conta 15 impianti (sei nel Sud e Isole, quattro al Nord, quattro al Centro).

I rifiuti tessili restano uno dei comparti più complessi da strutturare. I progetti finanziati dal Pnrr cercano di colmare la distanza tra la quantità di materiale prodotto e la capacità reale degli impianti: c'è una filiera che cresce, ma troppo lentamente rispetto ai volumi.

Sul fronte della gestione dei rifiuti urbani, il rapporto evidenzia un dualismo consolidato: da una parte le grandi multiutility, dall’altra un mosaico di piccole e medie imprese. Le prime gestiscono macro-aree urbane e grandi volumi; le seconde presidiano migliaia di comuni, soprattutto nelle zone interne. Le Pmi monoutility — cioè specializzate solo nei rifiuti — coprono infatti 2.085 municipalità, 10,3 milioni di abitanti e una gestione complessiva di 4,7 milioni di tonnellate. Le multiutility più piccole ne servono 1.250, per 8 milioni di abitanti e 3,3 milioni di tonnellate trattate.

Guardando al futuro immediato, emerge un altro dato rilevante: otto regioni hanno in programma nuovi impianti per la frazione organica, mentre sette puntano sulla realizzazione o ampliamento di capacità per il Css, il combustibile solido secondario. Segno che la rete sta provando ad adattarsi alle nuove gerarchie europee dei rifiuti, puntando su pretrattamento e recupero energetico, ma con un equilibrio ancora fragile.

L’Italia non è ferma: investe, cresce, amplia, sperimenta. Ma il rapporto Was indica che questa espansione rischia di essere sbilanciata. Il sistema del riciclo non tiene il passo, i termovalorizzatori potrebbero diventare troppo costosi, le discariche tornano centrali nei piani regionali e la distanza territoriale resta ampia. C’è un’Italia che ha già centrato gli obiettivi e un’altra che li manca di molto.

La sfida, ora, non è solo tecnologica o economica, ma culturale: evitare che l’aumento dei costi spinga verso soluzioni arretrate, garantire impianti moderni e distribuiti in modo equo, far crescere davvero le filiere del riciclo che oggi arrancano e scongiurare ancora una volta il rischio — sempre più concreto — che le discariche tornino a essere l'opzione più conveniente.

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