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Esposto alla Corte dei Conti sul fondo “Vita Nascente”: le associazioni sfidano la Regione

Nel mirino gestione, trasparenza e indirizzo politico: cosa prevede il fondo, perché è nato e perché divide

Esposto alla Corte dei Conti sul fondo “Vita Nascente”: le associazioni sfidano la Regione

Esposto alla Corte dei Conti sul fondo “Vita Nascente”: le associazioni sfidano la Regione. Foto: l'assessore Marrone

Il fronte delle associazioni torna a farsi sentire e questa volta porta il caso direttamente davanti alla Corte dei Conti. L’esposto depositato da un coordinamento di realtà civiche, femministe e radicali riapre un dossier che in Piemonte non smette di generare tensione: quello del fondo “Vita Nascente”, la misura regionale destinata a finanziare associazioni impegnate nel sostegno alle donne in gravidanza. Una misura presentata dalla Regione come una politica di tutela e accompagnamento alla maternità, ma percepita da una parte del mondo associativo come un intervento ideologico, pensato per ridisegnare gli equilibri nei consultori e condizionare l’applicazione della legge 194.

Il nuovo capitolo della vicenda parte dall’accesso agli atti che il coordinamento ha presentato a giugno. La Regione Piemonte ha risposto a fine luglio, ma la documentazione trasmessa, secondo i firmatari dell’esposto, sarebbe «parziale». Mancano — denunciano — le carte relative alla verifica dei titoli dei volontari impiegati nei progetti finanziati. E mancano i dati «sui consultori pubblici attivi o cessati» nel periodo 2020-2025, un elemento che per le associazioni è determinante per comprendere l’impatto reale delle politiche regionali sul servizio pubblico.

Nel materiale analizzato, i firmatari del ricorso dicono di aver individuato criticità nei criteri di erogazione delle risorse, nella natura delle progettualità finanziate e nel rapporto fra attività associative e servizi pubblici. A colpire, spiegano, è la destinazione di fondi significativi a sedici associazioni che — a loro giudizio — avrebbero finalità «in contrasto con lo spirito della 194». Lo sottolinea con nettezza Maria Chiara Acciarini, ex parlamentare e attivista, tra le promotrici dell’esposto: la Regione avrebbe sostenuto «realtà che attaccano la legge 194, che non è perfetta ma è una legge dello Stato e deve governare la materia».

Sul tavolo non c’è solo il passato. La Regione ha infatti pubblicato un nuovo bando da 940.000 euro per il fondo “Vita Nascente”, sostenendo che le nuove linee non incidano sulla gestione pregressa. Le associazioni non la pensano così: ritengono che le criticità “sostanziali” restino e che i problemi possano estendersi anche alla programmazione futura. Il nodo, per loro, è politico oltre che amministrativo.

Per capire il senso dello scontro serve ricostruire cos’è il fondo “Vita Nascente” e perché nel mondo sanitario, associativo e sindacale ha suscitato contestazioni sin dalla sua introduzione. Il fondo nasce durante la precedente legislatura con l’obiettivo dichiarato di «sostenere la maternità e prevenire l’abbandono precoce dei consultori da parte delle donne in difficoltà». La ratio ufficiale è potenziare il sistema di presa in carico, ampliando la rete degli attori coinvolti e finanziando associazioni che offrano ascolto, accompagnamento, consulenza psicologica e orientamento.

Immagine di repertorio

Le perplessità emergono fin da subito. Secondo i critici, il fondo introduce una sovrapposizione fra consultori pubblici — strutture che operano in base alla 194 e alla 405, con personale qualificato e controlli sanitari — e associazioni private che non sempre garantirebbero trasparenza e competenze certificate. A preoccupare è anche la possibilità che soggetti privati, alcuni dei quali con un profilo dichiaratamente “pro-life”, possano influenzare percorsi delicatissimi come quelli legati all’interruzione volontaria di gravidanza o alle scelte riproduttive.

La Regione, da parte sua, respinge da sempre queste accuse, rivendicando il carattere “supplementare e non sostitutivo” del fondo. Ma nelle aule dei consultori la realtà è più sfumata. Molti operatori sanitari temono che il finanziamento ad associazioni esterne avvii un processo di esternalizzazione strisciante, che rischia di indebolire il presidio pubblico proprio in un settore — maternità, contraccezione, salute riproduttiva — in cui la legge italiana affida compiti precisi al servizio sanitario.

A rendere più fragile l’intero sistema c’è il dato, evidenziato anche dalle associazioni, sulla condizione dei consultori pubblici piemontesi: personale ridotto, ambulatori accorpati, chiusure temporanee o definitive. Una fotografia che alimenta il sospetto di una progressiva marginalizzazione del ruolo dei consultori nella rete dei servizi territoriali.

Sul fronte amministrativo, l’esposto alla Corte dei Conti mira a far luce su come sono stati spesi i fondi, quali progetti sono stati ammessi, come sono stati valutati i requisiti dei volontari e su quali basi sono state assegnate le risorse. In particolare, il coordinamento chiede che vengano chiariti i criteri con cui la Regione ha accertato competenze e qualifiche dei soggetti coinvolti, punto considerato decisivo per garantire la correttezza dell’azione pubblica.

Le associazioni che firmano il ricorso — Radicale Adelaide Aglietta, Anpi 68 Martiri, Europa Radicale, Coordinamento Antifascista Torino, Coordinamento Transfemminista Contro il Carcere, Comitato Mamme in Piazza e Non Una di Meno Torino — non si limitano a contestare la legittimità dei finanziamenti: puntano il dito contro un impianto politico che, a loro giudizio, rischia di trasformare i consultori in luoghi non più neutri, dove l’approccio scientifico rischia di cedere il passo all’orientamento valoriale.

In questo clima, il nuovo bando da 940.000 euro diventa un banco di prova. La Regione sostiene che si tratta di un passo avanti e non di una continuità problematica. Le associazioni replicano che il quadro non è cambiato e che anche nel 2026 le stesse criticità potrebbero riproporsi, influenzando la qualità del servizio pubblico.

La Corte dei Conti dovrà ora esaminare l’esposto e decidere se aprire un fascicolo. Nel frattempo, la discussione si sposta sul terreno politico: quale ruolo devono avere i consultori pubblici? Quali limiti devono rispettare le associazioni coinvolte? E, soprattutto, la tutela della maternità può convivere con il pieno rispetto della libertà di scelta sancita dalla legge?

Sono domande che, in Piemonte, tornano ciclicamente. E il caso “Vita Nascente” dimostra che il terreno su cui si muovono non è solo amministrativo. È profondamente culturale. E destinato a restare al centro del dibattito ancora a lungo.

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