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24 Novembre 2025 - 15:00
Procura di Torino verso lo stato di agitazione: organici al collasso e rischio paralisi negli uffici
Il malessere non è più sotterraneo, né contenibile dentro la routine di un ufficio giudiziario che regge ormai soltanto grazie allo spirito di sacrificio dei pochi rimasti. Alla Procura di Torino, dove all’appello mancano quasi un centinaio di amministrativi, la parola “normalità” è diventata un concetto astratto. Oggi, in una delle maxi aule del Palazzo di giustizia, il personale ha votato lo stato di agitazione, chiedendo di aprire una vertenza che metta finalmente al centro un problema ignorato da anni: senza chi materialmente costruisce e manda avanti i fascicoli, la giustizia non funziona.
Gli amministrativi presenti hanno descritto una situazione definita «insostenibile». Su una pianta organica prevista di 250 persone, gli effettivi sono circa 160, numero che nella realtà operativa quotidiana scende ancora, tra ferie, malattie, turni e assenze inevitabili. È la fotografia di un sistema che ogni giorno si regge su straordinari continui, responsabilità crescenti e carichi di lavoro che non permettono più margini di respiro. «Siamo zoppi in un sistema in cui dobbiamo correre», ha osservato uno dei rappresentanti sindacali, sintetizzando la percezione di un ufficio che rischia il collasso.
Non è solo questione di efficienza, ma anche di salute. Il tema del rischio da stress lavoro-correlato, già sollevato un anno fa con la richiesta al procuratore capo Giovanni Bombardieri di aggiornare le valutazioni, è rimasto in sospeso. Il Ministero ha risposto con un «stiamo aggiornando le tabelle», ma quelle tabelle non sono mai arrivate. Nel frattempo, alcuni dipendenti hanno già ottenuto la certificazione medica dello stress: insonnia, ansia, difficoltà di concentrazione. Un malessere che non trova spazio nei comunicati ufficiali, ma che esplode nelle testimonianze raccolte oggi: «Mi sono rivolto al mio medico. Ho raccontato tutto. E lo stress è stato certificato».
Il personale lamenta di essere diventato l’anello debole di una catena che però regge l’intero edificio della giustizia. Le segreterie dei pubblici ministeri — circa sessanta magistrati — non riescono più a gestire il volume delle pratiche. Fascicoli, notifiche, atti urgenti, comunicazioni interne, richieste delle forze dell’ordine: un flusso continuo che in queste condizioni diventa impossibile da sostenere. Molte delle iniziative discusse oggi avranno un carattere simbolico: il blocco degli straordinari, impossibile da applicare nelle emergenze; presidi davanti al Palazzo di giustizia; lettere indirizzate a ogni pm per certificare nero su bianco che le segreterie non riescono più a fare tutto.
Nel malumore generale, si è aggiunta la delusione per la partecipazione: una cinquantina di persone presenti, a fronte del numero complessivo del personale. Ma molti hanno chiesto di essere rappresentati per delega, segno che la pressione lavorativa è tale da frenare persino la possibilità di alzare la testa durante l’orario di ufficio.
La tensione che attraversa la Procura non riguarda solo chi lavora dietro le quinte: investe l’intero sistema giudiziario torinese. Nel pieno della campagna referendaria sulla giustizia, il personale amministrativo rivendica un ruolo spesso dimenticato, ma essenziale. «Si parla sempre e solo di magistratura — è stato detto — e mai di noi. Ma senza di noi la Procura si ferma». È una denuncia semplice, diretta, eppure, da anni, ignorata.
Ora lo stato di agitazione è ufficiale. Nei prossimi giorni verrà definito un pacchetto di azioni, nella speranza che la voce degli amministrativi arrivi finalmente a destinazione: perché senza organici adeguati, senza tutele e senza una reale presa d’atto del problema, la macchina della giustizia rischia davvero di non muoversi più.
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