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20 Novembre 2025 - 14:02
“Il semestre filtro non funziona e l'università rischia il collasso”: la denuncia di PD e Giovani Democratici
La mattinata di oggi, che coincide con il primo appello d’esame del semestre filtro, si è trasformata nell’ennesimo banco di prova per una riforma che, secondo i Giovani Democratici di Torino e i Consiglieri regionali del Partito Democratico, ha già mostrato i suoi limiti. La mozione presentata in Consiglio regionale del Piemonte chiede interventi urgenti sulla crisi della formazione sanitaria universitaria e sulla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, richiamando una prospettiva di sistema che va ben oltre il calendario accademico.
Il giudizio politico è netto: il semestre filtro viene considerato “una riforma confusa, inutile e dannosa”. Per comprenderne il peso nel dibattito, occorre ricordare come e perché è nato. Il semestre filtro è stato introdotto dal Ministero dell’Università come soluzione intermedia per superare il vecchio modello del numero chiuso a Medicina. L’obiettivo dichiarato era trasformare l’accesso alla facoltà in un percorso di selezione progressiva interna, permettendo a più studenti di iscriversi per poi affrontare una valutazione basata sugli esami del primo semestre. In teoria, una selezione meno traumatica del tradizionale test d’ingresso. Di fatto, una misura ponte che ha mantenuto procedure concorsuali, test scritti, graduatorie e un sovraccarico organizzativo sugli atenei. La ministra Anna Maria Bernini ha presentato la riforma come un superamento del numero chiuso, ma migliaia di studenti continuano a svolgere esami selettivi, prove scritte e test di valutazione in sedi come Lingotto Fiere, senza avvertire alcuna reale differenza rispetto al modello precedente. Gli atenei hanno accolto l’avvio del semestre filtro tra difficoltà logistiche, mancanza di spazi adeguati e l’esigenza di gestire coorti di studenti numericamente superiori, in alcuni casi raddoppiate nel giro di pochi mesi.
Sul piano teorico, il semestre filtro puntava ad ampliare l’accesso e rendere la selezione più inclusiva. Nella pratica, secondo i promotori della mozione, sta producendo effetti controproducenti: disuguaglianze nell’accesso alle risorse didattiche, incertezza per gli studenti, prove di sbarramento interne con criteri mutevoli e un aumento della pressione sugli stessi docenti che già lavorano in condizioni di carenza strutturale. L’idea di fondo, quella di “far entrare tutti” per poi selezionare dopo pochi mesi, si scontra con l’insufficienza delle strutture universitarie e con il rischio di moltiplicare le aspettative senza riuscire a soddisfarle. Per i Giovani Democratici e per i Consiglieri PD, la riforma appare più come uno strumento propagandistico che come una soluzione reale ai problemi del sistema.

La critica si inserisce in un quadro nazionale segnato da dati allarmanti. Il Servizio Sanitario Nazionale sta vivendo una fuga di professionisti senza precedenti: nel solo 2024, secondo le stime ricordate dal Consigliere regionale Mauro Salizzoni, sono stati circa 7.000 i medici che hanno lasciato l’ospedale pubblico, e oltre 8.000 nei 18 mesi precedenti. Le ragioni di questo addio di massa si intrecciano con retribuzioni non competitive, carichi di lavoro esasperati, progressioni di carriera bloccate e un crescente squilibrio tra pubblico e privato. Le opportunità di crescita, inoltre, rimangono limitate: soltanto il 12% dei medici raggiunge il ruolo di primario e le donne rappresentano appena il 2% di questa ristretta percentuale.
A complicare ulteriormente il quadro c’è un ricambio generazionale che non procede con la necessaria continuità. Nel 2025 sono previsti 14.918 pensionamenti, un dato destinato a diminuire solo negli anni successivi. Gli studenti che oggi entrano nei percorsi di formazione medica diventeranno specialisti tra otto o dieci anni, mentre la carenza attuale si concentra proprio nell’immediato. La combinazione tra pensionamenti, dimissioni e scarsità di specialisti crea una frattura che non può essere colmata da misure temporanee. Al contrario, proiezioni a lungo termine indicano perfino il rischio opposto: entro il 2040, con l’attuale ritmo di accessi ai corsi di laurea, si potrebbe generare un surplus potenziale di oltre 220.000 medici, rendendo il sistema impreparato a gestire l’oscillazione tra carenza e sovrapproduzione.
Il semestre filtro, in questo contesto, diventa così un simbolo di una strategia percepita come improvvisata. La richiesta dei Consiglieri PD è di cancellarlo e sostituirlo con una pianificazione seria e coordinata, basata su fabbisogni reali e su una programmazione delle specializzazioni coerente con l’andamento demografico, l’evoluzione del SSN e le aree critiche della medicina. È necessario, secondo loro, un ripristino dei fondi tagliati all’università e un adeguamento strutturale del finanziamento sanitario, riportandolo almeno al 7,5% del PIL. Il tema della dignità del lavoro infermieristico viene posto al centro, come indicatore chiave della crisi: una professione lasciata senza tutele, percorsi di crescita e retribuzioni adeguate non riesce più ad attrarre nuovi studenti, con corsi che rimangono con posti vacanti nonostante la carenza strutturale nelle corsie e nei reparti.
Nelle parole di Salizzoni emerge una considerazione più ampia: ciò che viene spesso definito “emergenza” è, in realtà, una trasformazione strutturale che mette alla prova l’universalismo delle cure, principio cardine sancito dall’articolo 32 della Costituzione. La tenuta del sistema non può essere affidata a soluzioni parziali o a provvedimenti annunciati senza una visione complessiva. Occorre una strategia che unisca università, ospedali, Regione e Governo in un percorso comune di ricostruzione, capace di proteggere il capitale umano e di garantire continuità, stabilità e qualità nel servizio pubblico.
La mozione presentata in aula dai Consiglieri regionali del Partito Democratico e dai Giovani Democratici di Torino intende essere il primo passo in questa direzione. La richiesta è chiara: affrontare la crisi della formazione sanitaria con strumenti strutturali, abbandonando l’idea che il semestre filtro possa rappresentare una risposta efficace. La sanità italiana, dicono, non ha bisogno di slogan, ma di un impegno concreto che guardi al prossimo decennio e non alle prossime settimane politiche.
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