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18 Novembre 2025 - 22:31
L'Università di Padova è in cima alla classifica
C’è un’Italia universitaria che, silenziosa ma costante, sta scalando le classifiche mondiali della sostenibilità. È quella raccontata dal nuovo QS World University Rankings: Sustainability 2026, che registra un dato mai visto prima: 57 atenei italiani presenti nella graduatoria internazionale, su circa 200 università di 106 Paesi. Una fotografia che non solo conferma il posizionamento crescente delle nostre istituzioni accademiche, ma che rivela anche un mutamento culturale profondo, fatto di investimenti, governance ambientale rafforzata e rinnovate strategie di ricerca.
In un panorama globale sempre più competitivo, la parte alta della classifica italiana resta ancorata al Centro-Nord. L’Università di Padova mantiene la sua leadership nazionale e si piazza al 121° posto, confermando una solidità di visione che da anni la rende punto di riferimento nei temi dell’impatto ambientale e sociale. Dietro di lei si muove con sorprendente rapidità il Politecnico di Milano, protagonista del balzo più clamoroso dell’anno: +145 posizioni, fino alla 133ª. Una scalata che segnala non solo il peso crescente della sua ricerca, ma il suo ruolo strategico nella produzione di innovazione orientata al clima, dai materiali sostenibili alle tecnologie per la decarbonizzazione.
La spinta verde raggiunge anche Bologna e l’Università degli Studi di Milano, entrambe in crescita significativa, mentre la Sapienza di Roma subisce una frenata che la riporta in area 188° posto, una correzione che pesa soprattutto alla luce del suo storico dominio nelle classifiche generali. Ma la tendenza generale è chiara: il sistema universitario italiano, pur con differenze interne, ha imboccato una strada più decisa verso la sostenibilità.
Sedici università ottengono un miglioramento netto rispetto all’anno precedente, sei mantengono la stessa posizione e molte segnano i risultati migliori di sempre. Tra queste spiccano ancora il Politecnico di Milano, la Bocconi, l’Università di Trento, la Politecnica delle Marche, Roma Tre, l’Università di Salerno e quella dell’Aquila. Atenei molto diversi tra loro, ma accomunati da un percorso di rinnovamento che non si è limitato alla ricerca: hanno investito nella transizione verde, introdotto sistemi avanzati di monitoraggio ambientale, integrato la sostenibilità nell’offerta formativa e ripensato la gestione dei campus, dall’energia ai rifiuti.
Il confronto internazionale, intanto, ridisegna le gerarchie globali. Dopo due anni di dominio nordamericano, il primo posto mondiale passa alla Lund University, in Svezia, che conquista la vetta per la prima volta da quando la classifica è stata creata nel 2023. Scivola in seconda posizione l’Università di Toronto, leader nel 2024 e 2025, mentre la britannica UCL sale al terzo posto con un progresso di due posizioni. Nord Europa, Canada, Regno Unito: i poli tradizionalmente più attivi nel dibattito ambientale restano saldamente nelle prime file.
Sul piano puramente quantitativo, gli Stati Uniti dominano con 240 università in classifica, seguiti dalla Cina con 163 istituzioni. Ed è proprio la Cina a mostrare il più alto numero di nuovi ingressi: 49 atenei che debuttano nella classifica, segnale di un sistema accademico che sta accelerando nella ricerca climatica e nelle politiche di sostenibilità. Seguono l’India con 26 nuove entrate, la Francia con 19, la Turchia con 18. Anche molte nazioni europee mostrano segnali forti: la Germania introduce 16 nuovi atenei, la Spagna 15, il Regno Unito 13, gli Stati Uniti 11. L’Italia, con quattro università nella top 200, si pone a metà strada: davanti ha la necessità di crescere ancora, ma vede riconosciuto un lavoro che sta iniziando a produrre risultati concreti.
In questo scenario globale attraversato da competizione e impegni climatici spesso disattesi, arriva la nota più severa dell’intero rapporto. Nunzio Quacquarelli, presidente e fondatore di QS, sottolinea un dato che pesa come un macigno: «Con solo il 17% dei 169 obiettivi di sviluppo sostenibile globali in linea con i tempi previsti per il 2030, la necessità di un’azione accelerata sulle sfide ambientali e sociali non è mai stata così necessaria». Un richiamo che travalica i confini accademici e tocca governi, imprese e società civile.
Se gli atenei italiani stanno migliorando, lo fanno dentro un quadro mondiale che procede troppo lentamente rispetto alle scadenze fissate dall’Agenda 2030. Eppure il dato di quest’anno racconta un movimento culturale e strategico non trascurabile: dalle università partono energie e competenze che possono diventare leve cruciali nella transizione ecologica. Investimenti, nuove didattiche, governance ambientale più rigorosa: tutti segnali che l’università sta cambiando pelle.
Resta ora da capire se questo slancio riuscirà a trasformarsi in traiettoria stabile, capace di influenzare politiche territoriali e scelte industriali. Ma il segnale è partito, inequivocabile. L’Italia universitaria prova a giocare la sua partita globale sulla sostenibilità, e lo fa con numeri che, per la prima volta, raccontano ottimismo invece che ritardo.

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