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18 Novembre 2025 - 13:33
Askatasuna, al via il riordino dello stabile: volontari al lavoro per trasformare lo storico edificio in bene comune
Nel cortile dell’ex asilo di corso Regina Margherita 47, questa mattina, un gruppo di volontari, esponenti del comitato dei proponenti e dei garanti — tra cui lo psichiatra Ugo Zamburru e il sindacalista Giorgio Cremaschi — ha festeggiato simbolicamente l’avvio delle prime attività operative sullo stabile occupato dal Centro Sociale Askatasuna: pulizia, riordino, messa in sicurezza degli spazi. È un passo concreto nel percorso che, solo pochi giorni fa, ha visto la firma del patto con il Comune di Torino per trasformare la struttura in un bene comune condiviso con la città, il quartiere di Barriera di Milano e le istituzioni.
L’occupazione, datata 1996, ha da sempre avuto una doppia natura: da un lato centro di iniziative culturali, politiche e sociali, dall’altro oggetto di contenziosi, procedimenti giudiziari e discussioni sull’illegalità dell’occupazione. Le luci ancora accese ai piani alti, le sagome visibili attraverso i finestroni, sono diventate il simbolo di una contraddizione che Torino non riesce a ignorare.
Lo sblocco istituzionale è giunto dopo un iter lungo, tra verifiche, interlocuzioni, pressioni politiche e richieste di legalizzazione che per anni erano rimaste in bilico. Ora la strada indicata – quella della co-gestione, della cogestione, della rigenerazione urbana — ha inoltrato segnali concreti: volontari al lavoro, raccolta fondi annunciata, tempistiche di riapertura pianterreno in discussione. Ma questo passaggio lo si può davvero comprendere solo se si rilegge la storia recente del centro sociale, delle vicende giudiziarie e delle tensioni che hanno accompagnato l’Askatasuna negli ultimi anni.
Le vicende penali che hanno coinvolto l’Askatasuna costituiscono uno snodo fondamentale per comprendere perché la trattativa istituzionale sia stata così complessa. Nel marzo 2025, dopo un lungo processo iniziato nel 2019, il Tribunale di Torino ha assolto 16 imputati (di una lista più ampia di 28) dall’accusa di associazione a delinquere «perché il fatto non sussiste». Era il dispositivo che avrebbe potuto segnare la fine delle indagini più pesanti contro il centro sociale. Tuttavia, la stessa Procura ha impugnato la sentenza, presentando appello alla Corte d’Appello. Numerosi altri procedimenti restano aperti, comprese nuove indagini che puntano a dimostrare «la regìa dell’Askatasuna» in episodi di violenza di piazza: nel luglio 2025 si parlava di 47 indagati e sette richieste di arresto, nell’ambito dell’inchiesta sugli scontri al corteo No Tav di Porta Nuova. Torino Cronaca
Sul piano politico e amministrativo, questi fatti hanno pesato: le opposizioni di centro-destra li hanno usati per attaccare la trattativa con il Comune, accusando la maggioranza di trattare con «discipline dell’illegalità». In Consiglio comunale si sono accese le polemiche: cartelli, critiche incrociate e scontro verbale sulla legittimità della cogestione e sul ruolo dell’Askatasuna.
Con questo bagaglio alle spalle, il patto è una scelta di campo: lo stabile – occupato senza titolo da 29 anni – passa a un accordo pubblico-privato che lo riconosce come bene comune, da mettere a disposizione della collettività. Oggi quei primi volontari al lavoro, che sistemano l’ingresso, dipingono, sgomberano, rappresentano la fase operativa del progetto. Cremaschi ha dichiarato che «una volta si sarebbe detto un lavoro di alta responsabilità civica» e ha espresso ottimismo nel poter riaprire il pianterreno «in tempi ragionevoli». Zamburru ha enfatizzato che, nonostante le polemiche, «siamo riusciti a fare una bella squadra con le istituzioni, con l’Askatasuna stessa, con noi proponenti e garanti».
Al fianco della manutenzione, parte una campagna di raccolta fondi intitolata “Supporta il 47”: la raccolta sarà ospitata su piattaforme digitali e terrà insieme iniziative, anche musicali, che si terranno all’Askatasuna e in altri luoghi cittadini. Questa fase segna un passo operativo: dall’idea al finanziamento concreto, dalla volontà alla realizzazione.
Il Comune di Torino, da parte sua, ha chiarito che questa iniziativa si inserisce in una visione più ampia di rigenerazione urbana, dove gli edifici abbandonati o occupati irregolarmente non restano solo un problema, ma possono diventare spazi di comunità, socialità, cultura. Ma la trasformazione sarà anche vincolata: lo stabile dovrà rispettare gli accordi sul suo uso, la sicurezza degli spazi, la definizione dei soggetti gestori e l’apertura pubblica.

Non mancano le asperità: accanto ai volontari e al buon proposito, ci sono interrogativi tecnici, giuridici e politici. Lo sgombero formale dello stabile non è completo: l’immobile è formalmente svuotato da febbraio 2024 ma continua a essere usato. Il che pone questioni di ordine pubblico, di responsabilità, di vigilanza. Sul piano giudiziario, l’appello della Procura indica che non si è chiusa la partita penale. Sul piano politico, il consenso locale non è unanime: il quartiere Barriera di Milano nutre aspettative ma anche timori sul destino dello stabile e sulla coerenza dei progetti.
Da un punto di vista urbanistico e sociale, la sfida è mantenere equilibrio: lo stabile occupato da 29 anni deve tornare ad essere un luogo aperto, non esclusivo; un bene comune, non una proprietà privata. Le condizioni della co-gestione – trasparenza, partecipazione, sostenibilità — saranno al centro del monitoraggio pubblico. Le aspettative del quartiere, spesso in passato accreditato come «traghettatore» di spazi occupati, sono elevate: perché questo progetto non rimanga un’operazione puramente simbolica.
Questo passaggio assume significato su più livelli. Primo: trasforma un edificio urbano che era stato considerato un elemento di tensione in un’opportunità di rigenerazione urbana. Secondo: segna una modalità diversa nella relazione fra centri sociali e istituzioni – non solo conflittuale, ma anche negoziale. Terzo: rappresenta un banco di prova per la co-gestione di beni comuni in una città che sta ridefinendo il proprio patrimonio pubblico e sociale.
La trasformazione del 47 diventa quindi un laboratorio. Se si riuscirà a riaprire il pianterreno, a far funzionare gli spazi con progetti culturali, sociali e condivisi, allora l’intervento potrà essere considerato un successo. Se, al contrario, rimarrà sottoutilizzato, fuori dai circuiti della trasparenza e della legittimità, resterà un promemoria delle difficoltà che accompagnano la rigenerazione urbana partecipata.
L’Askatasuna entra in una nuova fase. Da centro sociale occupato ad alleato della città nella gestione di un bene comune. Da realtà spesso al centro di polemiche e processi giudiziari — 18 condanne nel 2025 ma caduta dell’accusa di associazione a delinquere, indagini ancora aperte — ad attore della rigenerazione urbana. Il cammino è lungo, tortuoso e sotto gli occhi di tutti. Ma oggi ha un inizio più definito: volontari al lavoro, progetto condiviso, fondi in raccolta, volontà istituzionale.
Sta alla città, al quartiere, alle istituzioni vigilare affinché la trasformazione sia reale e non simbolica. Sta agli occupanti e ai promotori dimostrare che la fiducia accordata non viene tradita e che la co-gestione non diventa solo un vestito nuovo per una vecchia occupazione. In un momento in cui il tema dei beni comuni, della partecipazione civica e della rigenerazione urbana è centrale, l’ex asilo di Borgo Vanchiglia può diventare una delle storie positive di Torino. Ma il risultato dipenderà dalla concretezza dei fatti, non solo dalle dichiarazioni.
Il numero civico 47 non è più solo un indirizzo occupato: è il simbolo di una scommessa. Per la città, per il quartiere, per il futuro della partecipazione urbana.
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