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Askatasuna, il murales di Leila Khaled divide la politica torinese

Il Comune difende l’autorizzazione della Soprintendenza, la Lega parla di “omaggio ai terroristi”

Askatasuna, il murales di Leila Khaled divide la politica torinese

Askatasuna, il murales di Leila Khaled divide la politica torinese

A Torino, dietro al centro sociale Askatasuna, in via Cesare Balbo, si è riaccesa una polemica che intreccia arte, memoria e politica. Il motivo è un murales dedicato a Leila Khaled, figura storica della resistenza palestinese, ritratta con kefiah e fucile in mano. L’opera, che secondo il Comune di Torino è presente da tre anni, dal 2022, e per la Lega invece sarebbe apparsa solo a settembre, è finita al centro di uno scontro politico acceso tra maggioranza e opposizione.

A sollevare il caso è stato il consigliere comunale Fabrizio Ricca (Lega), che in Sala Rossa ha presentato un’interpellanza chiedendo la rimozione immediata del murales, definendolo un “omaggio a una terrorista”. In risposta, l’assessora alle Periferie e ai Progetti di rigenerazione urbana Carlotta Salerno ha difeso la scelta dell’Amministrazione spiegando che l’opera è autorizzata dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Torino, che nel 2023 ne ha riconosciuto il valore artistico e culturale.

La ricostruzione dei fatti mostra che il murales non è nato di recente, ma ha una storia lunga oltre un decennio. Sorto nel 2011, in occasione del 25 aprile, è stato poi ampliato nel tempo con nuovi volti: Dante Di Nanni, partigiano torinese; Carla Capponi, medaglia d’oro al valor militare; Orso Tekoşer, combattente fiorentino caduto in Siria; e Vittorio Arrigoni, pacifista ucciso a Gaza. Solo nel 2022 è comparsa anche Leila Khaled, oggi ottantunenne, ex militante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e da tempo impegnata in politica in Giordania.

L’intervento di Ricca ha incendiato il confronto in Consiglio comunale. Il consigliere ha parlato di un “murales vergognoso”, ricordando che Khaled «ha partecipato a due dirottamenti aerei, nel 1969 e nel 1970, entrambi riconducibili al Fplp, organizzazione oggi considerata terrorista dall’Unione Europea». Nessuna vittima in quegli episodi, ma la simbologia di quella figura continua a dividere l’opinione pubblica.

L’assessora Salerno ha replicato attenendosi ai documenti ufficiali: «Il murales è un’evidenza già nota agli uffici comunali e alla Soprintendenza. Nel 2023 è stata rilasciata l’autorizzazione per il suo mantenimento. Non risulta che il Comune abbia mai rimosso un’opera autorizzata, se non per motivi di degrado o sicurezza». Una posizione che ha scatenato la reazione furiosa della Lega.

Ricca ha risposto con toni durissimi: «Allora mi aspetto che presto compaiano murales dedicati a Hitler o Mussolini. Tanto, a quanto pare, Torino li lascerebbe sui muri in nome dell’arte». Parole che hanno infiammato il dibattito politico, già teso per le manifestazioni pro Palestina che nelle ultime settimane hanno attraversato la città, spesso con partenza proprio da Askatasuna, uno dei principali centri sociali torinesi.

La polemica sul murales, infatti, non si esaurisce nel solo piano culturale. Si inserisce in un contesto di tensione più ampio, alimentato dal patto di cooperazione tra la Città di Torino e Askatasuna, approvato nei mesi scorsi e fortemente contestato dal centrodestra. Per la Lega, quel patto rappresenta una “legittimazione politica” del centro sociale; per il Comune, invece, è uno strumento di dialogo e gestione delle aree urbane occupate. La vicenda di via Cesare Balbo è diventata così una bandiera di contrapposizione ideologica, usata come terreno di scontro in vista delle Comunali del 2027.

Lo stesso Ricca, già assessore regionale nel primo mandato Cirio, e oggi consigliere anche in Regione Piemonte, ha legato il caso a una battaglia politica più ampia. Da tempo ha manifestato solidarietà a Israele, anche attraverso iniziative pubbliche, e in Consiglio regionale ha guidato la linea dura del centrodestra sulle mobilitazioni pro Palestina.

Per la Soprintendenza, invece, il valore del murales resta principalmente artistico e testimoniale. Nella valutazione ufficiale non vi sono riferimenti ideologici, ma la volontà di preservare un’opera che racconta la stratificazione sociale e politica del quartiere Vanchiglia. Un punto di vista che non convince la Lega, secondo cui “l’arte non può essere un alibi per la propaganda politica”.

Il caso Leila Khaled, in ogni caso, riapre un interrogativo antico: fino a che punto la memoria visiva può spingersi nel rappresentare figure controverse della storia? E dove finisce la libertà artistica per lasciare spazio alla responsabilità pubblica? Il Comune, per ora, non intende intervenire. Il murales resta dov’è, sotto la tutela della Soprintendenza. Ma la discussione è tutt’altro che chiusa: la commissione consiliare tornerà a parlarne nelle prossime settimane, e Ricca ha già annunciato di voler “spiegare chi è davvero Leila Khaled” in quella sede.

Una polemica che, tra centro sociale e istituzioni, tra libertà artistica e tensione politica, continua a interrogare la città. Torino si ritrova ancora una volta a fare i conti con la propria immagine: capitale della cultura, ma anche teatro di conflitti simbolici, in cui un muro diventa terreno di scontro e un pennello può trasformarsi in atto politico.

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