AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
18 Novembre 2025 - 10:16
Ristorazione italiana e il possibile effetto UNESCO: una rivoluzione economica e culturale
La ristorazione italiana non è soltanto un settore economico: è un’infrastruttura culturale, un modello di socialità, un tratto identitario riconosciuto in tutto il mondo. È l’Italia che si presenta a tavola, con la sua biodiversità, le sue tradizioni regionali, il suo modo di interpretare il tempo e la convivialità. È anche, concretamente, una delle prime ragioni per cui milioni di turisti scelgono di visitare il Paese. Nel 2024, secondo le stime elaborate da Fiepet Confesercenti su dati Banca d’Italia, Unioncamere e Movimprese, i visitatori internazionali hanno speso 12,08 miliardi di euro in ristoranti, bar e pubblici esercizi italiani, registrando un incremento del 7,5% rispetto al 2023. Una crescita significativa, che non si arresta: le prime anticipazioni del 2025 indicano un’ulteriore espansione fino a 12,68 miliardi di euro, pari a un +5%.
Numeri che collocano il comparto della ristorazione come pilastro strategico dell’economia turistica italiana, in un contesto globale in cui il cibo non è più soltanto parte dell’esperienza turistica, ma una leva determinante nella scelta della destinazione. È il cuore del cosiddetto turismo enogastronomico, che nel nostro Paese genera oggi 9 miliardi di euro di spesa diretta, dimostrando come la cucina italiana sia diventata uno dei motori più potenti dell’attrattività internazionale.
Il 2025, inoltre, potrebbe segnare una svolta storica. La cucina italiana è infatti candidata a diventare patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO, con un primo parere tecnico positivo già acquisito e con la decisione finale attesa durante la riunione del Comitato intergovernativo prevista a New Delhi, dal 8 al 13 dicembre. Se il responso dovesse essere favorevole — e i segnali vanno in questa direzione — le ricadute economiche e d’immagine sarebbero immediate.
Secondo Fiepet Confesercenti, il riconoscimento comporterebbe incrementi turistici dal 6% all’8% nei primi anni, per poi stabilizzarsi su una crescita tra il 2% e il 3% nel quinquennio successivo. In concreto, significherebbe 18 milioni di presenze in più in due anni: una cifra enorme, che darebbe uno slancio senza precedenti all’intera filiera dell’accoglienza.
Ma il vero terreno su cui questa possibile “nuova primavera gastronomica” andrà a innestarsi è un settore che, al di là della retorica, sta vivendo una fase di profonda trasformazione.
L’universo della ristorazione italiana è fatto di contrasti e paradossi. Da un lato, cresce in modo costante: negli ultimi dieci anni il comparto ha registrato un incremento complessivo di 1.467 imprese attive. Dall’altro, il confronto tra 2023 e 2024 racconta una realtà complessa: 4.038 attività hanno cessato l’operatività, con un impatto particolarmente rilevante in Lombardia, Veneto, Lazio e Sicilia.
Mentre Sud e Isole mostrano una capacità di espansione più robusta — in parte legata al turismo costiero e alla valorizzazione delle tradizioni locali — Nord e Centro evidenziano dinamiche più negative, segnate da costi elevati, concorrenza intensa, fitti crescenti e una progressiva difficoltà nel mantenere in equilibrio i margini operativi.
La forma giuridica prevalente resta quella delle imprese individuali, confermando un tratto storico del settore italiano: un sistema fondato su piccole realtà familiari, su tradizioni tramandate, su microimprenditori che spesso fanno della loro attività una manifestazione personale della propria identità culturale e territoriale. Questo, però, rende il comparto anche più vulnerabile alle oscillazioni economiche, ai cambiamenti normativi, ai costi energetici e ai flussi turistici variabili.
Sul piano economico, i dati Istat segnalano per il 2025 una crescita media del 1,7% del fatturato dei servizi di ristorazione. Una crescita positiva, certo, ma non esplosiva. Nel confronto europeo, poi, emergono ulteriori complessità: analizzando il periodo 2015-2024, i dati Eurostat indicano per l’Italia un incremento del 35,8%, inferiore sia alla media UE sia ai risultati dei principali concorrenti come Spagna e Francia, che hanno saputo intercettare con più aggressività il mercato del turismo esperienziale.

L’Italia, insomma, è amata, ricercata, visitata — ma potrebbe ottenere molto di più. Molti analisti leggono proprio nella candidatura UNESCO un’occasione irripetibile per colmare questo divario, sfruttando l’aumento della visibilità internazionale per rilanciare la competitività di un settore che ha già un enorme potenziale ma che fatica a scalare in modo sistemico.
C’è però un punto critico che attraversa trasversalmente tutto il comparto: la difficoltà nel reperire personale qualificato. Una vera emergenza strutturale. Secondo i dati Fiepet, un’impresa su due non riesce a trovare le figure necessarie. Non si tratta solo della mancanza di candidati disponibili, ma anche — e soprattutto — della carenza di competenze adeguate.
Il presidente nazionale di Fiepet Confesercenti, Giancarlo Banchieri, è stato chiaro:
«C’è un tema che non possiamo più eludere: un’impresa della ristorazione su due fatica a trovare personale, non solo per carenza di candidati, ma per mancanza di competenze adeguate. Le imprese hanno bisogno anche di lavoratori provenienti dall’estero, ma occorre un passo in avanti deciso: serve lavorare sulla formazione fuori dai confini nazionali e serve un sostegno concreto, perché finora abbiamo fatto tutto da soli».
Il problema è noto, ma mai affrontato davvero con strumenti strutturali: contratti stagionali precari, retribuzioni poco attrattive, turni pesanti, difficoltà nel garantire formazione continua e percorsi di crescita professionale. Tutto questo si traduce in un settore che rischia di esplodere proprio mentre la domanda — interna ed estera — cresce.
La candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità non è soltanto una questione di prestigio. È un potenziale moltiplicatore economico. Banchieri lo ha definito un effetto “quasi automatico”:
«Un riconoscimento UNESCO agirebbe da moltiplicatore per turismo, economia e immagine del Paese. Ma perché questa spinta si traduca in sviluppo reale servono politiche lungimiranti».
Il ragionamento è semplice: se la cucina italiana diventasse patrimonio UNESCO, aumenterebbe immediatamente la visibilità internazionale del settore. Crescerebbe il numero dei turisti motivati dall’esperienza gastronomica, si rafforzerebbe la domanda per le produzioni territoriali, si consoliderebbe il posizionamento del Made in Italy agroalimentare nei mercati globali. Si tratterebbe di una leva strutturale capace di generare benefici in una filiera che comprende:
ristorazione
agricoltura e filiere di eccellenza
industria agroalimentare
turismo
artigianato
produzione vinicola
ospitalità
Non solo. La dieta mediterranea, già riconosciuta patrimonio UNESCO dal 2010, otterrebbe un nuovo slancio, soprattutto sui mercati extraeuropei, dove l’attenzione per modelli alimentari sani e sostenibili è in forte aumento.
La ristorazione italiana oggi è un mosaico complesso. Accanto ai grandi ristoranti, ai locali stellati, ai format imprenditoriali che esportano modelli di successo in tutto il mondo, esiste una trama diffusa di microimprese che costituiscono la spina dorsale di questo universo. Sono trattorie, osterie, bar, pizzerie, pasticcerie, piccoli ristoranti familiari portati avanti da generazioni. Realtà che rappresentano il volto più autentico della cucina italiana, ma che faticano a reggere la competizione e i costi crescenti.
Gli ultimi anni hanno accelerato processi che sembravano ancora lontani: digitalizzazione, prenotazioni online, food delivery, social media come strumenti di marketing, nuove forme di ristorazione specializzate (vegana, gluten free, gourmet, fusion, agricola, esperienziale). Ma allo stesso tempo molte attività tradizionali non hanno le risorse per affrontare questa transizione.
Il quadro che emerge è ambivalente: da una parte un boom di consumi, di attrattività turistica, di conferme internazionali; dall’altra un settore in difficoltà strutturale, che rischia di non essere pronto a cogliere le opportunità.
È su questo che Banchieri lancia il suo appello:
«Se il mondo riconoscerà ufficialmente il valore della nostra cucina, dovremo essere pronti a trasformare questa occasione in sviluppo duraturo. Le imprese stanno reagendo, ma hanno bisogno di essere accompagnate».
Accompagnate come? Con quattro linee d’azione chiare:
semplificazione amministrativa
sostegno agli investimenti
politiche di formazione qualificata
regole stabili per il lavoro e per le imprese
Senza questi interventi, la ristorazione rischia di continuare a vivere in un equilibrio fragile: una domanda in ascesa e un’offerta che fa fatica a stare al passo.
Il 2025 si presenta come un anno cruciale. I dati confermano una crescita robusta della spesa dei turisti stranieri, una centralità crescente dei viaggi enogastronomici, un potenziale enorme legato alla candidatura UNESCO e un’evoluzione strutturale del settore imprenditoriale. Ma la sfida è racchiusa in una domanda semplice: l’Italia saprà farsi trovare pronta?
La ristorazione italiana è un patrimonio, ma è anche un terreno fragile. Ha bisogno di politiche coraggiose, di investimenti intelligenti, di formazione, di una nuova generazione di professionisti, di un ecosistema che premi qualità, sostenibilità e innovazione.
Se tutto questo accadrà, la cucina italiana — già amatissima nel mondo — potrà finalmente conquistare anche il riconoscimento che le manca: non solo un patrimonio culturale, ma un motore di sviluppo stabile, strutturale e consapevole per il Paese.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.