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Tredici drappi in processione: Torino porta in strada un secolo e mezzo di violenze per dire no ai femminicidi

Una performance acrobatica trasforma Barriera di Milano in un archivio a cielo aperto contro la violenza sulle donne, con testi storici e casi internazionali dal 1847 a oggi

Tredici drappi in processione: Torino porta in strada un secolo e mezzo di violenze per dire no ai femminicidi

Tredici drappi in processione: Torino porta in strada un secolo e mezzo di violenze per dire no ai femminicidi (immagine di repertorio)

Torino sceglie l’arte per riportare in strada le parole che, troppo spesso, la cronaca liquida in poche righe. Il 21 novembre 2025, in Piazza Foroni, tredici grandi drappi ricamati da più di duecentocinquanta persone per oltre cinquecento ore di lavoro verranno portati in parata attraverso il quartiere di Barriera di Milano, in una lenta e silenziosa processione acrobatica che invita a osservare, leggere, ricordare. Il titolo scelto — «L’amavo troppo e le ho sparato» — richiama una frase pronunciata davvero, nel 1933, dall’aggressore di una donna che aveva deciso di lasciare il compagno. Una dichiarazione che, a distanza di quasi un secolo, conserva tutta la brutalità di una retorica che ancora oggi accompagna molti casi di femminicidio.

Il progetto, ideato da Irene Pittatore e Isabelle Demangeat con la partecipazione di quindici acrobati dell’Accademia Cirko Vertigo, nasce da una lunga ricerca negli archivi italiani e francesi. Dagli scaffali polverosi sono emersi atti processuali, articoli di giornale, resoconti giudiziari e testimonianze che raccontano violenza domestica, omicidi di donne, persecuzioni familiari. Testi che partono dal 1847 e arrivano fino alle cronache contemporanee, creando un ponte che mostra quanto persistente sia la struttura narrativa del potere maschile che decide, controlla, punisce.

Gli stralci di questi documenti sono stati stampati su grandi tessuti, poi issati su supporti in legno come fossero vessilli. Drappi che cammineranno tra la gente grazie ai movimenti sospesi degli acrobati, restituendo alla città un repertorio di storie in cui il linguaggio della violenza è rimasto quasi immutato nei decenni. La performance non prevede parole: è il pubblico a dover leggere, interpretare, lasciarsi attraversare dai testi. In questo silenzio risiede la forza dell’azione, che spezza il rumore di una cronaca che ogni giorno registra nuove aggressioni.

L’iniziativa rientra nel progetto Art For Change, che ha permesso di ampliare ulteriormente la ricerca, coinvolgendo anche archivi della Bosnia-Erzegovina. Il risultato è una cartografia della violenza che non conosce frontiere: documenti provenienti da Paesi diversi mostrano dinamiche simili, motivazioni ricorrenti, giustificazioni che tornano identiche a distanza di secoli e di chilometri. Una prova tangibile di quanto radicato sia un modello culturale che continua a considerare la donna proprietà, estensione o proiezione dell’uomo.

Portare questi materiali in strada significa sottrarli al silenzio delle stanze d’archivio e restituirli alla dimensione civile. Significa trasformare un quartiere in un archivio vivente, dove i nomi e le vicende di donne dimenticate si rimescolano a quelle di chi oggi — ogni settimana — riempie le pagine dei giornali. E significa farlo non con una commemorazione tradizionale, ma con il linguaggio del corpo, dell’acrobazia, della sospensione, che rompe l’inerzia e costringe lo sguardo.

La parata, pensata come un rito laico collettivo, vuole ricordare che la violenza non è un incidente isolato né un destino individuale: è un fatto politico, sociale, culturale. E che la città, ogni città, ha il dovere di guardarla in faccia. A Torino lo farà attraverso l’arte, usando stoffa, legno e movimento per riportare alla luce una verità che non smette mai di essere attuale.

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