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Truffe e telecamere nascoste: la nuova vulnerabilità degli utenti tra social e trappole tecnologiche

Un’ondata di frodi online e casi di spionaggio domestico rilancia il tema della tutela reale degli utenti e delle responsabilità delle piattaforme

Truffe e telecamere nascoste: la nuova vulnerabilità degli utenti tra social e trappole tecnologiche

Truffe e telecamere nascoste: la nuova vulnerabilità degli utenti tra social e trappole tecnologiche (immagine di repertorio)

C’è un filo sottile che attraversa il mondo digitale e arriva fin dentro le nostre case. Parte da un annuncio truffa, prosegue lungo gli algoritmi che governano i social e si chiude nella lente occultata di una telecamera piazzata da chi sfrutta fragilità e ingenuità. È un filo che racconta l’epoca in cui viviamo: iperconnessa, iperveloce e, proprio per questo, più vulnerabile. Le notizie delle ultime settimane lo dimostrano. Mentre il mercato digitale continua a generare miliardi di euro, la cronaca registra casi sempre più frequenti di ciò che qualcuno definisce «guardoni elettronici», persone che trasformano stanze, affitti brevi e spazi privati in scenari da violazione dell’intimità.

Il caso dell’Aquila, dove gli inquilini di un intero stabile sono stati spiati da telecamere nascoste installate dal proprietario, ha agitato le acque. Non solo per l’intrusione in sé, ma per l’effetto psicologico sulle persone che viaggiano, affittano, si fermano in un B&B o in un albergo: la sensazione di essere osservati senza saperlo. Un timore che cresce in parallelo alle altre ombre del digitale, come le truffe online che sfruttano la diffusione capillare degli annunci sulle piattaforme social.

Gli annunci fraudolenti non colpiscono soltanto i consumatori, ma distorcono anche il mercato, penalizzando chi lavora onestamente. Quando una grande piattaforma permette che una pubblicità ingannevole circoli senza controllo, non si limita a ospitare un annuncio sbagliato: produce un danno strutturale. Il problema non è nuovo, ma oggi è amplificato da un dato diventato un mantra: gli introiti generati da inserzioni scorrette sono spesso più alti delle sanzioni previste. È questo il punto. Finché una multa resterà inferiore al guadagno ottenuto violando le regole, qualcuno la considererà un costo accettabile, quasi un’imposta non scritta. Le sanzioni dovrebbero invece essere proporzionate alle dimensioni economiche dei colossi digitali, per rappresentare un vero deterrente e riportare equilibrio in un mercato già fragile.

A questo quadro si aggiunge una paura nuova, quella legata alla violazione dell’intimità. Dopo l’episodio dell’Aquila si è riacceso un dibattito che interroga tutti: quanto siamo davvero protetti quando mettiamo piede in un ambiente che non ci appartiene? Quanto possiamo fidarci delle strutture ricettive, delle piattaforme che intermediano gli affitti, delle tecnologie che oggi popolano camere e spazi privati?

Il giornalista Antonio Calitri, che da anni studia questi fenomeni, ha raccolto una serie di indicazioni utili per riconoscere la presenza di apparecchiature sospette. Si tratta di accorgimenti semplici, quotidiani, che possono trasformarsi in uno strumento di autodifesa nella vita di tutti i giorni. Osservare bagliori anomali, spegnere le luci e usare una torcia per individuare riflessi insoliti, sfruttare la fotocamera dello smartphone al buio per intercettare eventuali diodi a infrarossi, oppure dotarsi di piccoli rilevatori che permettono di scoprire le microtelecamere più sofisticate. Non sono soluzioni infallibili, non sostituiscono i controlli professionali o la denuncia alle forze dell’ordine, ma aiutano a colmare il divario crescente tra ciò che la tecnologia permette a chi spia e ciò che il cittadino può fare per difendersi.

Come sempre, il terreno di mezzo tra abusi e protezione è la responsabilità. Le piattaforme digitali devono presidiare con maggiore rigore gli spazi pubblicitari che gestiscono, impedendo che si trasformino in corsie preferenziali per i truffatori. Devono investire in verifiche preventive, trasparenza e filtri reali, non cosmetici. Dall’altra parte c’è l’utente, che può e deve esercitare una forma di consapevolezza attiva: informarsi, prestare attenzione, adottare piccole abitudini di sicurezza quando entra in una stanza, effettua un acquisto o risponde a un annuncio.

È una partita che si gioca su due fronti, quello pubblico e quello privato, quello delle piattaforme e quello delle persone. Ma l’obiettivo è uno solo: proteggere chi vive, lavora e si muove dentro uno spazio digitale che oggi è diventato quasi indistinguibile dal mondo reale. E difendere, al tempo stesso, chi opera correttamente, sottraendo terreno a chi inquina il mercato, approfitta delle crepe normative e specula sulla fragilità quotidiana degli utenti.

Perché in un’epoca in cui ogni gesto passa attraverso uno schermo, la vera battaglia è restituire agli utenti la certezza più semplice e più antica: quella di essere al sicuro.

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