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18 Novembre 2025 - 06:00
Cascina Caccia
Nelle colline piemontesi di San Sebastiano da Po, nel Torinese, sorge una realtà che per troppo tempo è rimasta nell’ombra nonostante la sua storia potente e il valore simbolico che porta con sé: Cascina Caccia. Un complesso imponente, arroccato sulla collina, che da luogo di potere mafioso è diventato un presidio di legalità e memoria civile.
La cascina fu confiscata alla famiglia Belfiore, storica cosca di ‘Ndrangheta originaria di Gioiosa Jonica (RC). Il bene apparteneva a Salvatore Belfiore, fratello del boss Domenico Belfiore, mandante dell’omicidio del Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia. L’assegnazione avvenne grazie alla legge 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati, la cosiddetta “legge Libera”. Oggi il complesso, circondato da un ettaro di terreni coltivati, è dedicato proprio alla memoria del procuratore Caccia e di sua moglie Carla Ferrari: un omaggio alla loro integrità e al loro sacrificio in una delle battaglie più lunghe e difficili combattute dallo Stato italiano contro le mafie.
Un tempo la cascina era il simbolo della ricchezza illecita dei Belfiore: la ndrina dominava sul territorio torinese gestendo scommesse clandestine come il “toto nero”, traffico di droga, usura e sequestri di persona. Oggi quello stesso luogo è diventato un centro di cittadinanza attiva, un laboratorio di educazione alla legalità e un esempio concreto di come sia possibile disarmare le mafie colpendo il loro patrimonio e abbattendo il muro dell’omertà.

Il nome della cascina è legato indissolubilmente alla storia tragica del procuratore Bruno Caccia, assassinato la sera del 26 giugno 1983. Quella domenica, come faceva spesso, Caccia decise di lasciare a riposo la scorta. Verso le 23:30 uscì dalla sua abitazione di via Sommacampagna 9 per portare a spasso il cane, un cocker. Fu in quel momento che una Fiat 128 verde gli affiancò: due uomini spararono 14 colpi senza neppure scendere dall’auto e poi lo finirono con tre colpi di grazia. Il cane, impazzito, abbaiava accanto al corpo del magistrato quando i primi vicini accorsero.
Le indagini individuarono come mandante Domenico Belfiore, poi condannato all’ergastolo nel 1989, pena confermata nel 1992. Solo nel 2017 la Corte d’Assise di Milano condannò all’ergastolo anche Rocco Schirripa, detto “Barca”, ritenuto uno degli esecutori materiali.
Per anni il Piemonte ha vissuto nell’illusione di essere immune alle mafie. Le inchieste hanno dimostrato il contrario, e il ruolo dell’associazione Libera è stato determinante nel portare alla luce la presenza pervasiva della criminalità organizzata. Oltre alla gestione dei beni confiscati, Libera ha seguito come parte civile i principali processi per 416 bis, documentando udienze, svolgendo attività di monitoraggio e promuovendo approfondimenti pubblici.
Fra i processi più importanti seguiti dall’associazione figurano:
Minotauro (2011), maxi-inchiesta sulla ‘ndrangheta nel Torinese;
Barbarossa (2015), che colpì una cellula attiva tra Asti e Cuneo;
Carminius-Fenice (2018), che rivelò profondi intrecci tra criminalità, affari e politica nel Carmagnolese;
il processo milanese del 2017 che portò alla condanna di Schirripa per l’omicidio Caccia.
Libera ha inoltre promosso dossier tematici e convegni, fra cui quello per i dieci anni da Minotauro, e studi come “Asso e Betulla” sulle infiltrazioni nel Verbano-Cusio-Ossola.


La confisca della cascina arrivò nel 1996, dopo l’arresto di Salvatore “Sasà” Belfiore. Ma l’assegnazione del bene richiese oltre dieci anni: la famiglia cercò in tutti i modi di bloccare il riutilizzo sociale, arrivando perfino a organizzare raccolte firme e a tentare di danneggiare la struttura, secondo la logica mafiosa del “se non possiamo averlo noi, non l’avrà nessuno”.
Fu allora che la società civile reagì. I giovani di Libera Piemonte si accamparono nella cascina, senza acqua né luce, per impedirne la distruzione. Nel 2007, grazie alla nomina di un prefetto ad acta e all’azione del Comune di San Sebastiano da Po, il bene venne definitivamente sottratto ai Belfiore e assegnato al Gruppo Abele, che affidò la gestione ad ACMOS, Libera Piemonte e alla cooperativa Nanà.
Da quel momento Cascina Caccia è diventata un centro di produzione etica e sostenibile. Fu la prima realtà del Nord Italia a commercializzare prodotti “Libera Terra”, come il miele biologico e lo zafferano, il cosiddetto “prodotto di riscatto”.
Nel 2017 è nato il Laboratorio Gastronomico, parte del progetto “Libero”, che sostiene le attività sociali ed educative della cascina. Qui si producono miele, nocciole, torrone, cioccolato, risotti, barrette energetiche, cosmetici e molti altri alimenti, spesso realizzati con materie prime provenienti da beni confiscati. I prodotti sono acquistabili in cascina o nell’Emporio di via Marsigli 14 a Torino.
Il Noccioleto della Memoria, dedicato a Vito Scafidi, il ragazzo morto nel 2008 nel crollo del Liceo Darwin, è uno dei simboli più forti del legame fra memoria e impegno civile.
Una comunità che vive, accoglie e educa
Oggi Cascina Caccia è anche una comunità residenziale: cinque giovani tra i 25 e i 30 anni vivono stabilmente nella struttura e ne gestiscono le attività. La cascina ha ospitato migranti in accoglienza straordinaria e continua a essere un luogo di volontariato, frequentato da studenti e giovani da tutta Italia e non solo: a un campo antimafia arrivò persino un ragazzo da New York.
Durante l’anno scolastico vengono proposti sette laboratori didattici, mentre d’estate la cascina diventa uno degli epicentri di E!State Liberi!, i campi di formazione alla legalità promossi da Libera.
La struttura, 850 metri quadrati su tre piani, ospita opere d’arte e installazioni permanenti, tra cui la Collezione Carla e Bruno Caccia e l’omaggio realizzato nel 2013 dall’artista Gec. In cantina trova posto “L’isola della mafia”, una sezione della mostra Fare gli Italiani, con i faldoni che elencano tutte le vittime delle mafie: un percorso che ogni anno colpisce migliaia di studenti.
Cascina Caccia è anche un luogo di eventi: il festival Armonia – L’arte libera il bene anima la collina ogni anno a fine giugno, mentre la cascina offre ospitalità con 24 posti letto, una cucina attrezzata, un ampio salone e un fienile di 200 metri quadrati utilizzato per incontri pubblici e cerimonie private. L’intera struttura, pur trovandosi in collina, è coperta da Wi-Fi a banda larga.
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