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Medicina
17 Novembre 2025 - 09:41
Torino, scoperto il meccanismo che “spegne” i neuroni
Un gruppo di ricercatori del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) dell’Università di Torino ha individuato un meccanismo cellulare che potrebbe spiegare perché la depressione riduce l’attività di un’area chiave del cervello, la corteccia prefrontale mediale, cruciale per il controllo delle emozioni e della risposta allo stress. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, sposta l’attenzione su un aspetto finora meno esplorato: non soltanto deficit nei sistemi serotoninergici, ma una vera e propria diminuzione dell’eccitabilità dei neuroni coinvolti nella regolazione dell’umore.
Secondo i ricercatori, nelle cavie sottoposte a stress cronico, i neuroni piramidali dello strato 2/3 della corteccia prefrontale mostrano una ridotta capacità di attivarsi e di mantenere una scarica elettrica adeguata. In pratica, faticano a rispondere agli stimoli provenienti da altre regioni cerebrali. A confermarlo è l’analisi elettrofisiologica, che ha evidenziato un aumento dei meccanismi di adattamento mediati dai canali del potassio (K⁺), essenziali per regolare il ritmo di scarica dei neuroni.
«Abbiamo osservato che nelle cavie suscettibili allo stress cronico i neuroni della corteccia prefrontale perdono parte della loro capacità di mantenere una risposta sostenuta agli stimoli eccitatori», spiega Anita Maria Rominto, ricercatrice del NICO e prima autrice del lavoro. «Questo deficit di eccitabilità potrebbe rappresentare la base cellulare della ridotta attività prefrontale riscontrata nei pazienti depressi». Una conclusione che suggerisce un legame diretto tra vulnerabilità allo stress e alterazioni funzionali dell’area cerebrale coinvolta nella regolazione emotiva.

I ricercatori hanno notato in particolare un innalzamento della soglia di attivazione e un’accentuazione della iperpolarizzazione postuma, due fenomeni che rendono più difficile per i neuroni generare potenziali d’azione. «I risultati indicano che una iperattività di specifici canali del potassio possa contribuire alla disfunzione della corteccia prefrontale nella depressione», aggiungono Filippo Tempia ed Eriola Hoxha, ultimi autori dello studio. «Comprendere questi meccanismi apre la strada a nuovi approcci terapeutici mirati a normalizzare l’attività neuronale».
Il modello sperimentale utilizzato si basa sullo stress da sconfitta sociale cronica, considerato uno dei protocolli più affidabili per studiare i correlati neurobiologici della depressione. Solo le cavie “suscettibili” hanno mostrato i comportamenti di evitamento sociale tipici dello stato depressivo insieme alle anomalie elettrofisiologiche. Le cavie “resilienti”, o non esposte allo stress, non presentavano alcuna di queste alterazioni, suggerendo che la vulnerabilità allo stress sia determinante nell’insorgenza delle modifiche neuronali.
La corteccia prefrontale mediale è una delle regioni più compromesse nei disturbi depressivi e rappresenta già un bersaglio delle tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva, come la rTMS, che hanno mostrato effetti antidepressivi documentati. Questo studio fornisce quindi una possibile spiegazione biologica della loro efficacia e individua nei canali del potassio un potenziale nuovo obiettivo farmacologico.
Un tassello importante, in un contesto in cui la depressione — secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità — colpisce il 5% della popolazione adulta mondiale e i trattamenti disponibili risultano efficaci solo in parte. Comprendere i circuiti cellulari che regolano l’umore potrebbe aiutare a sviluppare terapie più precise, capaci di intervenire non soltanto sui neurotrasmettitori, ma sulla fisiologia elettrica dei neuroni che sostengono le funzioni cognitive ed emotive.
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