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15 Novembre 2025 - 14:13
Un nuovo blitz degli ambientalisti di Extinction Rebellion ha movimentato il sabato torinese. Intorno a mezzogiorno un gruppo di attivisti ha fatto irruzione alla stazione ferroviaria di Porta Susa, arrampicandosi sulla facciata principale con l’aiuto di imbraghi, caschetti e corde d’alpinismo. Dall’alto hanno srotolato un lungo striscione bianco con la scritta «Cop2025: 1.5°C di ritardo», mentre sotto, davanti all’ingresso principale, un presidio di decine di sostenitori attirava l’attenzione dei passanti con tamburi, megafoni e volantini.
Nel gruppo spiccava un figurante travestito da Bianconiglio, che si aggirava tra i pendolari ripetendo: «È tardi, è tardi!». Un gesto volutamente ironico, spiegano gli attivisti, per richiamare la corsa contro il tempo che l’umanità sta perdendo di fronte alla crisi climatica. «È un modo simbolico per dire che il conto alla rovescia è già iniziato» hanno dichiarato, rivendicando l’azione come una forma di protesta pacifica ma radicale, capace di rompere la routine urbana e costringere i cittadini a guardare in faccia l’urgenza ambientale.
L’azione si è svolta negli stessi giorni in cui, dall’altra parte del pianeta, a Belém, capitale dell’Amazzonia, si sta tenendo la COP30, il vertice mondiale sul clima. Qui i rappresentanti di quasi duecento governi stanno discutendo i nuovi impegni nazionali per mantenere l’aumento della temperatura globale sotto la soglia di 1,5°C, obiettivo previsto dagli Accordi di Parigi ma ormai considerato irraggiungibile da buona parte della comunità scientifica. Gli attivisti torinesi sottolineano come, secondo le proiezioni più aggiornate, anche se tutti i piani annunciati venissero rispettati, il pianeta si avvierebbe verso un aumento medio di 2,6 gradi entro la fine del secolo.
«Quello che vogliamo dire è che non si tratta più di una crisi futura, ma di una realtà presente» spiegano dal collettivo. «Ogni anno assistiamo a ondate di calore sempre più lunghe, incendi devastanti, alluvioni e carestie. Eppure i governi continuano a investire in politiche antiscientifiche, ideologiche, dannose per i territori».

Il mirino del gruppo, oggi, era puntato anche sulla Regione Piemonte, accusata di finanziare opere che aggravano la crisi climatica invece di contrastarla. «La Regione continua a destinare risorse a settori energivori e distruttivi, come grandi infrastrutture e impianti sciistici. Nel bilancio 2025 ha stanziato 70 milioni di euro per potenziare l’innevamento artificiale, un sistema che consuma enormi quantità di energia e acqua, sottraendola ai bacini naturali» denunciano gli attivisti. Un paradosso, aggiungono, se si considera che in Piemonte ci sono 76 impianti di risalita dismessi perché situati a quote troppo basse, dove la neve non cade più con regolarità.
Dopo circa un’ora, la protesta è stata interrotta dall’intervento delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco, che hanno provveduto a far scendere in sicurezza i manifestanti dal tetto della stazione. L’azione si è conclusa senza incidenti né scontri, ma ha suscitato reazioni contrastanti: tra i passanti c’è chi ha applaudito il coraggio del gesto e chi invece ha criticato la scelta del luogo, ritenendola «inopportuna» in un nodo ferroviario così trafficato.
Extinction Rebellion, intanto, ha annunciato che il blitz di Torino fa parte di una campagna nazionale di disobbedienza civile organizzata in concomitanza con la COP30. Nelle prossime settimane sono previsti altri interventi in diverse città italiane, tutti con lo stesso obiettivo: costringere le istituzioni a «riconoscere l’emergenza climatica come la priorità assoluta».
CHI SONO GLI ATTIVISTI DI EXTINCTION REBELLION
Il movimento Extinction Rebellion — spesso abbreviato in XR — nasce a Londra nell’ottobre 2018 da un gruppo di accademici, attivisti e cittadini comuni ispirati dalle teorie del sociologo Roger Hallam e dell’antropologa Gail Bradbrook. La loro idea, presto diffusasi a livello globale, è quella di promuovere la disobbedienza civile non violenta come unico strumento efficace per forzare i governi a riconoscere la gravità della crisi climatica e ad agire con urgenza.
Il nome stesso del movimento, “ribellione all’estinzione”, esprime il concetto di fondo: gli attivisti ritengono che la specie umana sia avviata verso una catastrofe ecologica se non cambierà radicalmente il proprio modello di sviluppo. Extinction Rebellion non ha una struttura gerarchica, non esiste un leader e le azioni vengono decise in modo collettivo attraverso assemblee locali.
In Italia il movimento si è diffuso rapidamente a partire dal 2019, con cellule attive a Torino, Milano, Roma, Firenze e Napoli. Il loro simbolo — una clessidra racchiusa in un cerchio, a indicare il tempo che scorre — è comparso in decine di azioni spettacolari: blocchi stradali, vernici lavabili su monumenti, flash mob e performance teatrali. Le loro proteste, spesso oggetto di polemiche, puntano però a un obiettivo preciso: interrompere la normalità per far riflettere sull’anormalità della crisi ambientale.
Il collettivo chiede ai governi di dichiarare lo stato di emergenza climatica, di azzerare le emissioni di CO₂ entro il 2025 e di creare assemblee cittadine permanenti che coinvolgano la popolazione nelle scelte ambientali. A Torino, gli attivisti hanno più volte manifestato contro i finanziamenti pubblici destinati agli sport invernali e alle grandi opere considerate “climaticamente insostenibili”, come la Tav o le nuove tangenziali.
Negli ultimi mesi, in vista della COP30, Extinction Rebellion ha intensificato la propria presenza nelle piazze italiane, scegliendo luoghi simbolici — come le stazioni e gli aeroporti — per lanciare messaggi diretti contro l’immobilismo politico. Il raid di Porta Susa si inserisce in questa strategia comunicativa: un atto dimostrativo che, attraverso la provocazione, vuole riportare il clima al centro del dibattito pubblico.
In un mondo sempre più travolto da emergenze simultanee, dalla guerra alle crisi energetiche, la loro voce resta radicale, scomoda, ma difficilmente ignorabile.
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