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15 Novembre 2025 - 10:35
“Help me!”: una mail arrivata al Regina Margherita salva la vita a un bambino somalo
Un’email con oggetto «Help me!» è l’inizio di una storia che attraversa continenti, supera ostacoli impossibili e arriva fino alle sale operatorie del Regina Margherita di Torino, dove un bimbo somalo di 13 mesi – Muse – è stato salvato da una gravissima cardiopatia congenita che nel suo Paese non avrebbe potuto essere trattata. È una vicenda che parla di medicina ad alta specializzazione, ma soprattutto di solidarietà, quella concreta che unisce associazioni, fondazioni, medici e volontari quando a rischio c’è la vita di un bambino.
Muse è nato in Somalia con un canale atrio-ventricolare completo, una malformazione severa, resa ancor più complessa dalla presenza della sindrome di Down. In condizioni normali avrebbe dovuto essere operato a tre mesi di vita, prima che i polmoni venissero danneggiati in modo irreversibile. Ma in Somalia, pur essendo diagnosticata, questa cardiopatia non può essere corretta chirurgicamente. Muse è cresciuto quindi con cure mediche insufficienti, mentre l’ipertensione polmonare, tipica dopo i sei mesi, avanzava mettendo a rischio la sua sopravvivenza.
Il padre non si rassegna e scrive al dottor Carlo Pace Napoleone, direttore della Cardiochirurgia pediatrica del Regina Margherita. Quel messaggio accorato avvia un percorso eccezionale. In una sola serata, durante un evento di beneficenza legato a Banca Mediolanum, parte una raccolta fondi immediata: la Fondazione Mediolanum raddoppia le donazioni, l’Associazione Ana Moise contribuisce, la Flying Angels Foundation si occupa dei voli, mentre gli Amici dei Bambini Cardiopatici garantiscono vitto e alloggio per la mamma una volta a Torino.
Il 19 ottobre Muse atterra finalmente in Italia. Viene accolto dal team di Cardiologia pediatrica, diretto dalla dottoressa Chiara Riggi, che completa gli ultimi accertamenti prima di programmare l’intervento. Quando entra in sala operatoria, ha già compiuto tredici mesi: un’età che, per questa malattia, rappresenta un margine molto rischioso. Ma l’équipe del dottor Pace Napoleone, all’interno del Dipartimento di Patologia e Cura del Bambino diretto dalla professoressa Franca Fagioli, affronta l’operazione più delicata.
Servono sei ore, con l’utilizzo della circolazione extracorporea, per aprire il suo cuore, ricostruire correttamente le strutture e correggere la malformazione. Il risultato è definito «ottimo». E soprattutto: i polmoni di Muse, nonostante il ritardo, sono ancora recuperabili. Poche ore dopo l’intervento il bambino si sveglia, respira autonomamente, è stabile. I medici lo dicono con prudente soddisfazione: ce la farà.
I numeri lo confermano: le cardiopatie congenite colpiscono lo 0,8% dei nati vivi, ma nei Paesi dove la cardiochirurgia pediatrica è disponibile, il 95% dei bambini operati può raggiungere l’età adulta. Una differenza enorme rispetto a zone del mondo in cui la diagnosi non è accompagnata dalla cura. Ed è proprio questa ingiustizia sanitaria ad aver spinto decine di persone a mobilitarsi.
La storia di Muse diventa così il ritratto di ciò che accade quando la solidarietà incontra la competenza. Una rete complessa ma armoniosa: chirurghi, anestesisti, cardiologi, infermieri, tecnici di perfusione, operatori, volontari, associazioni e cittadini che hanno permesso a un bambino nato nel posto sbagliato di avere la stessa chance di chi nasce in Europa. Una corsa contro il tempo che, questa volta, si è conclusa con un futuro possibile.

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