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15 Novembre 2025 - 09:05
Terremoto sulle Alpi piemontesi: è stato rilevato dai sismografi
Alle 20:58 di giovedì 13 novembre una scossa di magnitudo 2.4 ha attraversato la zona di Viù, nelle Valli di Lanzo, a una profondità di dodici chilometri. Un movimento breve, distinto, percepito con chiarezza in un’area enorme: da Nole a Valperga, da Almese a Corio, da Lanzo alla cintura nord di Torino. Decine di testimonianze raccontano lo stesso fotogramma: un colpo netto, il legno che vibra, quell’attimo di sospensione in cui la terra ricorda che non è immobile.
Un’ora dopo, mentre la maggior parte dei residenti stava già archiviando l’episodio come uno dei tanti piccoli sussulti alpini, è arrivata la seconda scossa. Ancora magnitudo 2.4, questa volta con epicentro quattro chilometri a nord-ovest di Varisella, a circa quattordici chilometri di profondità. Chi l’ha sentita parla di un raddoppio inatteso, una replica che ha riaperto il filo delle domande: è una coincidenza? È l’inizio di una sequenza? Oppure è la solita, silenziosa attività che accompagna da secoli il margine occidentale della Pianura Padana?
Il territorio, intanto, ha risposto a modo suo. Da Lanzo arrivano segnalazioni di «due boati di assestamento», ad Alpignano c’è chi racconta di aver sentito «una vibrazione netta», a Val della Torre qualcuno chiede se sia «tutto normale». E sì, per gli esperti dell’INGV, è normale. Normale per una regione che si racconta come “non sismica”, ma che vive invece su un mosaico di faglie lente, profonde, spesso silenziose ma tutt’altro che inattive.
Nelle stesse ore, la rete sismica nazionale ha registrato altri movimenti. A Torrazza Piemonte, alle 22:16, la terra ha tremato con una magnitudo 1.9. Nella notte, alle 3:54, un’altra scossa, magnitudo 1.4, è stata localizzata a Traves, sempre nel Torinese. Eventi troppo deboli per essere percepiti dalla popolazione, ma significativi per il lavoro di chi studia l’evoluzione del sottosuolo alpino. Tutto in un’unica notte che ha trasformato un giovedì apparentemente ordinario in un picco improvviso di attività.
Il mese di novembre, del resto, è già il più “movimentato” dell’anno. Le scosse di Pinasca, Vinovo e Carema, arrivate nei giorni precedenti, avevano già composto una sequenza di episodi minori ma utilissimi per tratteggiare il comportamento delle faglie locali. Nessun danno, nessuna chiamata ai vigili del fuoco, ma una costellazione di micro-eventi che rende evidente la natura viva del territorio.
Capire se il Piemonte sia o meno una zona sismica significa uscire dalla leggenda popolare che lo dipinge come una regione “immune”. In realtà si trova lungo il margine occidentale della Pianura Padana, in una fascia in cui la spinta della placca adriatica verso l’arco alpino genera tensioni costanti. Sono tensioni lente, spesso minime, raramente capaci di produrre scosse devastanti come quelle dell’Appennino. Ma proprio per questo vengono dimenticate in fretta, archiviate perché non lasciano crepe nei muri né ferite nelle cronache.
Le zone più esposte sono sempre le stesse: Valli di Lanzo, Canavese, Val di Susa, Pinerolese, Biellese meridionale, una porzione dell’Alessandrino che guarda all’Appennino ligure. A volte gli episodi superano la magnitudo 3, più spesso restano sotto. Ma disegnano una cartografia del movimento che chi lavora nei centri di monitoraggio conosce bene. E gli anni passano lasciando tracce che si ripresentano ciclicamente: dal terremoto del 1808 a Saluzzo, avvertito fortissimo nel Cuneese, all’evento del 2000 a Piedimulera, magnitudo 4.7, fino ai tanti episodi minori registrati negli ultimi due decenni.
Anche questa volta le autorità non hanno emesso allarmi. La Sala Sismica dell’INGV ha localizzato gli eventi in pochi secondi, confermandone la modestia e sottolineando come rientrino nella tipica attività della zona alpina occidentale. Gli esperti parlano di episodi isolati, non correlati tra loro, privi di segnali che possano far pensare a un aggravamento della sequenza. Ma lo stesso quadro, letto con un minimo di attenzione, suggerisce anche che il fenomeno merita di essere monitorato senza superficialità.
A livello pratico, non cambia nulla per la quotidianità dei residenti: le case non hanno riportato danni, i servizi non sono stati interrotti, nessun comune ha diramato avvisi alla popolazione. Ma ogni scossa, anche quella più lieve, è un richiamo alla memoria collettiva. Un invito a ricordare che la prevenzione si costruisce prima, non dopo; che le scuole e gli edifici pubblici vanno adeguati, i piani comunali aggiornati, l’informazione diffusa in modo corretto.
La terra del Piemonte trema poco, quasi sempre in modo gentile, ma lo fa. E quelle due scosse in un’ora, insieme ai movimenti registrati tra Torrazza e Traves, raccontano una verità semplice: il sottosuolo parla. A volte lo fa con un colpo secco, altre con un sussurro registrato solo dagli strumenti. Ma parla sempre. Sta a noi ascoltare, capire e prepararci, senza allarmi inutili e senza illusioni.
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