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14 Novembre 2025 - 11:43
Cassa integrazione, il Piemonte sprofonda: +38,9% in un anno e Torino resta la capitale italiana degli ammortizzatori sociali
Il dato è di quelli che pesano, e non solo dal punto di vista statistico. Nel 2025 il Piemonte sta vivendo una delle sue fasi economiche più difficili degli ultimi anni, con un’impennata impressionante delle richieste di cassa integrazione: +37,8% rispetto ai primi nove mesi del 2024, che diventano +38,9% se si includono tutti gli ammortizzatori sociali. In numeri assoluti significa 46.172.778 ore di cassa richieste tra gennaio e settembre.
Il confronto con il quadro nazionale rende tutto ancora più evidente: mentre l’Italia nel complesso ha registrato un aumento del 18,6%, la regione quasi raddoppia quel dato. Una fotografia impietosa scattata dal Servizio lavoro, coesione e territorio della Uil nazionale e che, ancora una volta, conferma un primato negativo: Torino è la provincia con il maggior numero di cassaintegrati del Paese.
Quasi 30 milioni di ore di cassa integrazione provengono infatti dall’area torinese, seguita da Potenza e Roma. Una concentrazione che racconta l’enorme fragilità del tessuto industriale e produttivo dell’area metropolitana, un tempo locomotiva del Nord-Ovest e oggi schiacciata dalle trasformazioni globali, dalla crisi dell’automotive e da una transizione industriale che non riesce a trovare un equilibrio tra innovazione e salvaguardia dell’occupazione.

Il fenomeno non risparmia le altre province piemontesi, che anzi mostrano aumenti perfino più drammatici. Verbania supera il +140%, Asti cresce del +122% e Cuneo del +121%, numeri che indicano un malessere trasversale e non confinato alle grandi industrie. Anche realtà più piccole e tradizionalmente solide stanno cedendo sotto la pressione di crisi simultanee: quella energetica, quella geopolitica e quella legata alla frenata del commercio internazionale.
Vercelli segna un aumento del +42,1%, Torino cresce del +40,5% e Alessandria registra un più contenuto +3,3%. Un lieve respiro arriva invece da due territori: Novara, che si mantiene in terreno negativo con un -2,6%, e soprattutto Biella, che segna un inatteso -14,1%. In entrambi i casi si tratta della combinazione tra una leggera ripresa settoriale e un ridimensionamento avvenuto negli anni precedenti, che oggi limita la richiesta di ammortizzatori sociali.
Il quadro delineato dalla Uil racconta una regione in affanno in tutti i comparti: in cima alla lista il settore automotive, che in Piemonte non è solo un comparto industriale ma un pezzo identitario dell’economia regionale. Qui la transizione verso l’elettrico, la riduzione delle produzioni tradizionali e l’incertezza sulle strategie industriali dei grandi gruppi colpiscono non solo le case automobilistiche, ma soprattutto la vasta filiera della componentistica, che da sola dà lavoro a migliaia di persone.
Accanto all’automotive emergono segnali di criticità nel metalmeccanico, nella logistica, nel commercio e perfino in settori storicamente più stabili come l’agroalimentare. Le difficoltà non derivano solo da fattori strutturali, ma da un contesto internazionale in continua tensione: dazi incrociati, indebolimento della domanda globale, conflitti geopolitici e, soprattutto, la crisi dell’economia tedesca, che rappresenta da sempre il principale mercato di destinazione per le esportazioni piemontesi.
A questo scenario si aggiunge la stagnazione dei consumi interni, aggravata da una perdita costante di potere d’acquisto per lavoratori e pensionati. Un elemento che frena vendite, investimenti e piani di crescita, innescando un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire senza politiche di sostegno mirate.
I numeri degli ammortizzatori sociali, dunque, non sono solo un indicatore tecnico: rappresentano la misura di un territorio che, pur dotato di competenze, imprese di eccellenza e un forte know-how industriale, fatica a reggere l’urto di trasformazioni epocali.
Nei prossimi mesi sarà decisivo capire come evolverà la situazione: se la cassa integrazione continuerà a crescere o se si riuscirà a frenare la spirale, magari grazie a nuove politiche industriali, investimenti mirati e una maggiore stabilità dei mercati internazionali.
Per il momento resta una realtà difficilmente confutabile: in Piemonte la crisi non è una previsione, ma un dato certificato. E le decine di milioni di ore di cassa integrazione sono lì a ricordare che il 2025 potrebbe diventare, per il mondo del lavoro regionale, un anno spartiacque.
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