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Adolescenti: non si fidano più degli adulti? Chiedono aiuto all’IA per tristezza, ansia e scelte di vita

La nuova solitudine digitale: quasi metà degli adolescenti italiani chiede aiuto all’Intelligenza artificiale per ansia, tristezza e scelte di vita

Adolescenti piemontesi

Adolescenti piemontesi, ormai chiedono aiuto all’IA per tristezza, ansia e scelte di vita: non si fidano più degli adulti?

C’è una generazione che, quando si sente sola, triste o confusa, non bussa alla porta di un amico, di un insegnante o di uno psicologo. Si rivolge a una macchina. L’Atlante dell’Infanzia (a rischio) di Save the Children, dedicato quest’anno agli adolescenti tra i 15 e i 19 anni, offre un quadro potente e inquieto: il 41,8% degli adolescenti italiani ha chiesto aiuto all’Intelligenza artificiale nei momenti di difficoltà emotiva. Un dato che dice molto più dei numeri. Dice come questa età viva un rapporto ambivalente con il mondo reale e un’affidabilità crescente del mondo digitale.

E non si tratta soltanto di sfogarsi. Il 42% dei ragazzi ha chiesto a un sistema di IA consigli su scelte importanti, un segnale di quanto la tecnologia sia entrata nelle decisioni personali, dove un tempo pesavano famiglia e scuola. Il fenomeno non è marginale: oltre il 92% dei giovani usa strumenti di intelligenza artificiale, mentre tra gli adulti la percentuale crolla al 46,7%. È una forbice generazionale mai registrata prima, capace di separare mondi che convivono sotto lo stesso tetto ma parlano linguaggi completamente diversi.

L’utilizzo quotidiano è diventato routine: quasi un adolescente su tre usa l’IA ogni giorno o quasi; un altro 43,3% qualche volta a settimana. Solo il 7,5% non la utilizza mai. Al contrario, più della metà degli adulti non l’ha mai sperimentata. È una distanza che non riguarda solo le abitudini tecnologiche: racconta un cambio culturale, un modo differente di cercare risposte, compagnia, rassicurazioni.

I chatbot — ChatGPT, Claude, Dixit — sono gli strumenti preferiti: li usa il 68,3% dei ragazzi. Seguono i servizi di traduzione automatica, poi gli assistenti vocali. Ed emerge un dato nuovo: il 9,3% utilizza chatbot relazionali, come Character AI e Anima, piattaforme progettate per simulare rapporti affettivi o amicali. Per molti adolescenti, queste applicazioni rappresentano una presenza costante, prevedibile, che non giudica. Un rifugio, ma anche un rischio.

Il quadro della loro vita quotidiana è segnato da luci e ombre. Quasi la metà non legge libri, un dato che conferma una progressiva distanza dalla lettura non scolastica. Solo la metà ha visitato mostre o musei nell’ultimo anno, e nel Mezzogiorno le percentuali scendono ancora. L’inattività fisica riguarda quasi uno su cinque, e il 9% ha ammesso di essersi isolato volontariamente a causa di problemi psicologici.

Ma il dato più allarmante riguarda i farmaci: il 12% ha assunto psicofarmaci senza prescrizione medica. È un numero che merita attenzione immediata, perché racconta un disagio che non trova canali ufficiali di cura e finisce per cercare soluzioni autonome, spesso pericolose.

Quando si chiede ai ragazzi perché utilizzano l’IA, le risposte mostrano un mosaico di esigenze: informazioni, aiuto nello studio, traduzioni, scrittura di testi. Ma colpisce la quota di chi la usa per motivi più intimi: il 7,1% per migliorare il proprio benessere e il 4,2% per trovare compagnia. Dati che spiegano perché quasi la metà degli intervistati consideri l’IA “fondamentale” per la propria vita.

Il rapporto di Save the Children non demonizza la tecnologia, ma lancia un messaggio chiaro: l’intelligenza artificiale è diventata una presenza stabile nell’adolescenza italiana, spesso più vicina dei genitori, più accessibile della scuola, più affidabile dei pari. Ma non può sostituire ciò che manca davvero: spazi reali di ascolto, relazioni solide, servizi di salute mentale capillari e accessibili.

Il rischio non è la tecnologia in sé, ma l’idea che possa bastare. Ed è qui che si gioca la sfida dei prossimi anni.

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