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Il “ras delle soffitte” travolto dal suo stesso impero: 42 milioni di affitti in nero

Sette milioni di evasione fiscale restituiti al Fisco, 1.418 immobili da regolarizzare e un sistema di scatole cinesi smantellato dalla Guardia di Finanza

Il “ras delle soffitte”

Il “ras delle soffitte” travolto dal suo stesso impero: 42 milioni di affitti in nero

La parabola giudiziaria di Giorgio Molino, per anni noto come il “ras delle soffitte”, si chiude con un patteggiamento destinato a lasciare il segno. Tre anni di detenzione, da scontare ai domiciliari, per una serie di reati che vanno dall’appropriazione indebita alla truffa, fino all’evasione fiscale. Una vicenda che porta alla luce un impero immobiliare tanto vasto quanto opaco, fatto di soffitte, cantine e micro-alloggi affittati a immigrati irregolari, spesso in condizioni ai limiti della legalità.

Secondo le ricostruzioni della Guardia di Finanza, coordinate dalla pm Elisa Buffa, il sistema messo in piedi da Molino era un intreccio di società, prestanome e passaggi patrimoniali complessi, un mosaico di scatole cinesi pensato per disperdere responsabilità e sottrarre denaro al controllo del Fisco. Al centro dell’inchiesta ci sono 42 milioni di euro di affitti non dichiarati, che hanno generato una evasione fiscale di circa 7 milioni. Una cifra che l’imprenditore sta ora restituendo all’Agenzia delle Entrate, tassello necessario per arrivare al patteggiamento.

Non si tratta soltanto di contabilità irregolare. Nel corso delle perquisizioni, gli investigatori hanno trovato 270 mila euro in contanti nascosti in doppi fondi ricavati nei mobili di alcuni appartamenti. Una liquidità tenuta fuori dai radar, ulteriore conferma della capillarità del sistema. L’avvocata di Molino, Erica Gilardino, ha presentato la richiesta di patteggiamento accolta dalla giudice Valentina Rattazzo, ponendo fine a un procedimento che aveva ormai ricostruito gran parte del meccanismo evasivo.

Oggi, mentre il capofamiglia affronta la sua condanna ai domiciliari, il gigantesco patrimonio di 1.418 unità immobiliari è passato nelle mani del figlio Giuseppe Molino e della moglie Marianna Lucca. A loro spetta il compito di riportare alla legalità un sistema opaco durato anni. Ed è proprio questa la fase più delicata: mettere ordine in migliaia di contratti, verificare le condizioni abitative, riallineare gli immobili agli standard previsti, ricostruire rapporti regolari con gli inquilini.

Tra i punti più significativi di questo percorso c’è il confronto con la Fondazione Don Mario Operti, da sempre impegnata nell’inserimento abitativo delle persone più fragili. La collaborazione, che secondo “Repubblica” è già avviata, punta a una gestione trasparente degli alloggi e a un accompagnamento dei migranti verso una condizione abitativa regolare, dopo anni in cui il patrimonio di Molino si era trasformato in una rete parallela e informale di affitti.

L’intera vicenda offre uno scorcio su un mercato immobiliare sommerso, dove soffitte e micro-spazi vengono trasformati in fonti di reddito ad alto margine, spesso fuori da qualsiasi controllo. Il caso Molino, pur nella sua unicità, porta alla luce fenomeni che nelle grandi città si ripetono: patrimoni nascosti, precarietà abitativa, ricavi illegali e una filiera di inquilini vulnerabili.

Ora il percorso giudiziario si è chiuso, ma quello amministrativo e sociale è appena iniziato. La sfida, per gli eredi, sarà dimostrare che un impero costruito nell’ombra può essere riportato alla luce, liberandosi dalle dinamiche che lo hanno reso possibile.

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