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Favino a Torino: «Sui fondi al cinema chiediamo un tavolo, ma ci rispondono con un monologo»

A Torino, durante le Atp Finals, Favino invoca l'apertura al dialogo sui fondi al cinema dopo Cannes e Venezia

Pierfrancesco Favino

Pierfrancesco Favino

Chi costruisce i ponti, se nessuno si siede al tavolo per decidere come farlo? La domanda, che è prima di tutto un’immagine, l’ha riportata al centro del dibattito Pierfrancesco Favino, intervenuto oggi a Torino a margine della proiezione del film Il Maestro in occasione delle Atp Finals. Il tema: i fondi per il cinema e, soprattutto, la qualità del confronto tra chi dovrebbe decidere come distribuirli.

Favino non ha girato intorno alle parole: «Sia a Cannes sia a Venezia mi sono speso per costruire ponti, con la fiducia nel fatto che questi ponti si sarebbero potuti costruire». Un impegno, il suo, speso nei luoghi simbolo del cinema d’autore, da cui si attende confronto, non eco. E invece, ha aggiunto, «i ponti si costruiscono nel momento in cui le persone che li costruiscono si mettono intorno a un tavolo e decidono come farlo». È qui che la metafora diventa denuncia: «Da molto tempo chiediamo di sederci a quel tavolo, ma a quel tavolo non ci vogliono vedere seduti con loro, per cui a questo punto non è un dialogo ma un monologo…».

Cosa chiede, in sostanza, l’attore? Non slogan, ma processo: un tavolo reale, inclusivo, dove le parti coinvolte nel sistema cinema possano definire insieme criteri, priorità, responsabilità. Il passaggio dai “monologhi” ai “dialoghi” non è questione di stile, ma di governance culturale: senza confronto strutturato, ogni decisione sui fondi rischia di essere percepita come calata dall’alto, con il risultato di irrigidire gli schieramenti invece di allinearli su obiettivi condivisi.

Richiamare Cannes e Venezia non è casuale. In quei contesti Favino dice di aver tentato di “costruire ponti”: parole che suggeriscono una volontà di mediazione tra istanze diverse, dai bisogni degli artisti alle prospettive dei decisori. Ma un ponte, per reggersi, ha bisogno di più pilastri: se uno manca — il celebre “tavolo” — l’attraversamento resta promessa.

Che il messaggio sia arrivato durante le Atp Finals non è un dettaglio di colore. La città, in questi giorni, si muove al ritmo di un grande evento globale: l’attenzione internazionale offre un microfono potente e invita a pensare l’industria culturale come un ecosistema. L’idea di “mettersi attorno a un tavolo” diventa così un invito più ampio a fare rete, oltre i confini dei singoli settori.

Quando una voce autorevole parla di ponti mancati, è un alert per tutto il comparto. Il cinema vive di scelte lungimiranti: sostenere nuovi autori, tutelare la filiera, garantire pluralismo di linguaggi. Ma queste scelte hanno bisogno di metodo, trasparenza e ascolto reciproco. L’appello di Favino è chiaro: la partecipazione non è un favore concesso agli addetti ai lavori, è la condizione per politiche culturali efficaci e condivise.

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