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08 Novembre 2025 - 22:29
Quante volte dovremo ripetere la parola “sicurezza” perché diventi abitudine, cultura, riflesso automatico? A Torino, all’assemblea annuale dei maestri di sci del Piemonte, è stata la parola più pronunciata. Non per moda, ma per necessità, dopo un anno segnato da due tragedie che hanno sconvolto la comunità della neve: le morti, in allenamento, di Matilde Lorenzi prima e di Matteo Franzoso poi. Promesse della nostra regione, vite spezzate che impongono una domanda non eludibile: cosa si può e si deve fare di più?
La memoria di Matilde e Matteo ha attraversato la sala come un filo teso tra dolore e responsabilità. Non è retorica, è un fatto: quando la cronaca supera la soglia del tollerabile, le parole devono trovare un approdo nelle scelte. Da qui la centralità della sicurezza, non più capitolo a margine ma asse portante delle politiche sulla neve, dagli allenamenti alle scuole sci. Nei mesi scorsi, attorno alle due tragedie, si sono accesi riflettori investigativi e mediatici. Per la morte di Matilde Lorenzi è stata aperta una nuova inchiesta, con due indagati; per Matteo Franzoso, l’attenzione si è concentrata sui protocolli di allenamento e sulle condizioni di sicurezza. A Sestriere, durante i funerali di Franzoso, è risuonato l’appello del mondo dello sci: “Più sicurezza sulle piste”. Parole semplici, che obbligano a scelte complesse.
La notizia che segna un passaggio concreto arriva durante la giornata: è stato annunciato l’accordo con la Fondazione Matilde Lorenzi per introdurre, dal 2026, la formazione obbligatoria in primo soccorso per tutti i maestri di sci. Non un orpello formativo, ma una competenza essenziale: saper intervenire nei primi minuti può fare la differenza tra un incidente gestito e una tragedia. È una misura che parla al presente e al futuro: responsabilizza chi sta in prima linea nelle scuole e sulle piste, alza l’asticella degli standard e traccia un perimetro più esigente attorno alla parola “sicurezza”. È anche un segnale culturale: la prevenzione non è un adempimento, è un investimento.

Matilde Lorenzi
C’è poi il tema, non secondario, delle dotazioni. Il casco è ormai richiesto sulle piste anche per gli adulti: un’abitudine di buon senso, prima ancora che una regola. Ma l’altra grande insidia arriva dalle attrezzature: materiali sempre più performanti, sci che favoriscono velocità e aggressività. È un dato del nostro tempo: la tecnologia ha accelerato, ma non sempre l’ha fatto la prudenza. Alberto Casse, che ha allenato anche in Coppa del Mondo, ha messo il dito nella piaga con una riflessione che merita ascolto: “Molto probabilmente a questo tavolo dovrebbero esserci anche i costruttori di sci”. Tradotto: la filiera della sicurezza è lunga e coinvolge chi progetta e costruisce gli strumenti con cui si va in pista. Pretendere dialogo e corresponsabilità non è un atto d’accusa, è una necessità.
Nel confronto sono emerse esperienze e competenze diverse. Massimo Alpe, responsabile della formazione dei maestri per FORMONT+, ha portato il punto di vista di chi disegna i percorsi didattici; Pier Paolo Ballaré, presidente del Collegio dei maestri di sci del Piemonte, ha rappresentato l’orizzonte istituzionale della categoria; Alessandra Carfagna, neomaestra, ha incarnato la prospettiva di chi entra ora in una professione che chiede sempre più consapevolezza; e lo stesso Casse ha aggiunto il peso dell’esperienza maturata ai massimi livelli. Voci differenti, un obiettivo comune: integrare sicurezza, tecnica e responsabilità.
Dal tavolo piemontese emerge un’agenda immediata e misurabile: primo soccorso obbligatorio dal 2026 per tutti i maestri grazie all’accordo con la Fondazione Matilde Lorenzi; promozione dell’uso del casco anche tra gli adulti; sensibilizzazione sulle prestazioni delle attrezzature, con la richiesta di coinvolgere i costruttori nella discussione; rafforzamento della cultura della prevenzione negli allenamenti, dove si sono verificati gli incidenti più gravi. Sono passi che non cancellano il dolore, ma possono evitare che resti solo la memoria. Non c’è sci senza rischio; c’è però un modo migliore di stare in pista, con regole chiare, formazione adeguata e responsabilità condivise. Perché la parola “sicurezza” smetta di essere un titolo e diventi prassi quotidiana.
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