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Cronaca
25 Settembre 2025 - 15:52
Processo Askatasuna, emergono nuovi racconti: "Mi ha colpito con una cinghia" (immagine di repertorio)
Nuove deposizioni sono emerse oggi in aula nel maxiprocesso che riguarda gli scontri verificatisi durante il corteo del 1° maggio 2019 e che vede imputati 38 esponenti del centro sociale torinese Askatasuna. A parlare, come testimoni della difesa, sono stati un storico simpatizzante No Tav della Valle di Susa e un avvocato: entrambi hanno descritto momenti di tensione e episodi di violenza durante il passaggio del corteo in centro città.
Il primo dei due testimoni, identificato in aula come Massimo C., 60 anni, ha raccontato di essersi trovato dietro allo spezzone sociale impegnato a reggere uno striscione, quando il gruppo sarebbe stato fermato dal cosiddetto servizio d’ordine del Pd. «Volevamo passare avanti e non ce lo permettevano», ha detto Massimo C., secondo quanto riferito dal tribunale. A un certo punto, ha spiegato, «uno dei suoi componenti mi ha colpito al volto con una cinghiata». Dopo l’aggressione, il testimone ha detto di essersi allontanato sotto i portici «perché perdevo sangue» e che una donna gli aveva portato del ghiaccio preso in un bar. Alla domanda sul seguito, Massimo C. ha precisato che non fu sporta «nessuna denuncia» e che anni dopo incrociò la stessa persona, scambiando saluti, ma senza ulteriori conseguenze.
A seguire in aula è salito un altro testimone chiamato dalla difesa, l’avvocato Gianluca Vitale, che ha riferito di aver notato in via Roma lo spezzone sociale fermarsi di fronte a «un fitto schieramento di agenti in tenuta antisommossa». Secondo la sua ricostruzione, rivolgendosi a un funzionario per chiedere spiegazioni, avrebbe assistito a un «accenno di carica» e subito dopo sarebbe stato colpito alla testa «con un manganello». Anche questa deposizione è stata registrata durante la mattinata di udienza come elemento favorevole alla linea difensiva.
Le dichiarazioni dei testimoni della difesa si sono però scontrate, in aula, con l’osservazione del pubblico ministero Paolo Scafi. Il pm ha ricordato che il gruppo dei No Tav — così come gli altri componenti dello spezzone sociale — «avrebbero dovuto restare in fondo al corteo: c’era un accordo», ha detto Scafi, facendo riferimento alle intese organizzative che regolano il posizionamento dei partecipanti lungo il percorso. Alla luce di questo, il magistrato ha anche obiettato che eventuali contestazioni sull’operato della polizia non sono il nodo centrale del procedimento penale in corso.
La seduta di oggi si inserisce in un filone processuale di ampie dimensioni, che cerca di fare luce su una giornata di tensioni in centro storico. Le testimonianze emerse davanti al collegio confermano la complessità della ricostruzione: da una parte i resoconti di chi si è dichiarato vittima di aggressioni e di manovre violente, dall’altra la prospettiva dell’accusa che punta a ricondurre responsabilità e dinamiche entro la cornice di un corteo che doveva svolgersi secondo regole concordate.
Nonostante le ricostruzioni a tratti drammatiche, è importante sottolineare che le deposizioni rese in aula rappresentano elementi di prova che dovranno essere valutati insieme ad altri atti, filmati e perizie nel corso del dibattimento. Alcuni testimoni hanno raccontato di ferite subite sul momento; altri passaggi descrivono spinte e cariche che contribuirono a far degenerare la situazione. Resta invece fuori dall’odierna udienza qualsiasi accertamento definitivo di responsabilità penale, che spetterà al giudice al termine dell’esame complessivo delle prove.
La complessa istruttoria, con decine di imputati e numerose testimonianze contrapposte, proseguirà nelle prossime udienze. Quel che emerge con chiarezza è la difficoltà di ricostruire in modo univoco i fatti di quel 1° maggio: a distanza di anni, tra chi ricorda spintoni e cinghiate e chi richiama l’esistenza di accordi formali sul posizionamento degli spezzoni, il processo resta la sede in cui mettere ordine alle versioni e arrivare a una decisione giudiziaria.
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