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08 Novembre 2025 - 09:00
Trasporto pubblico a Torino, è scontro tra Comune e Regione sul futuro di Gtt (foto: Lo Russo)
A Torino, dietro le quinte di Palazzo di Città e del Grattacielo Piemonte, si consuma un braccio di ferro sul futuro del trasporto pubblico. Da un lato Palazzo Civico spinge per l’affidamento in house del servizio a Gtt, la società pubblica controllata dal Comune. Dall’altro, la Regione Piemonte punta a rafforzare il ruolo dell’Agenzia della Mobilità Piemontese (Amp), suo braccio operativo, nella gestione e nella pianificazione del trasporto locale. Nel mezzo, i sindacati, che temono tagli e fino a 600 posti di lavoro a rischio. Sul tavolo c’è un affidamento diretto per il periodo 2027–2033, senza gara, che promette continuità gestionale ma apre interrogativi su occupazione, qualità del servizio e governance.
Il punto di partenza è una proposta del Comune di Torino: mantenere il servizio nelle mani pubbliche attraverso l’affidamento diretto, evitando una nuova gara d’appalto. Una scelta presentata come garanzia di stabilità e controllo, ma che la Regione osserva con cautela. Da tempo, infatti, il Grattacielo della Regione chiede un ruolo più incisivo per l’Amp, chiamata a coordinare le strategie e a garantire che le decisioni non siano solo torinocentriche ma tengano conto anche dell’area metropolitana.
I sindacati, intanto, incalzano entrambi i livelli istituzionali. Denunciano una mancanza di chiarezza sui piani occupazionali e sulle ricadute del nuovo assetto. Secondo le stime emerse dalle sigle di categoria, il rischio è la perdita di fino a 600 posti di lavoro, se non verranno fissate tutele contrattuali precise. Anche l’incertezza sulla gestione del personale e sulla manutenzione dei mezzi preoccupa: con l’in house, temono, il margine di intervento pubblico resta, ma senza le garanzie di trasparenza e concorrenza che derivano da una gara.

Il fulcro del dibattito è proprio questo: che cosa significa “in house”? In termini tecnici, si tratta di una forma di affidamento diretto che consente a un’amministrazione di gestire un servizio attraverso una propria società, a condizione che eserciti su di essa un controllo analogo a quello sui propri uffici. È un modello legittimo, riconosciuto dalle direttive europee e dal diritto nazionale, ma non privo di criticità. Da un lato, consente di ridurre i tempi amministrativi, garantendo continuità gestionale e maggiore controllo pubblico; dall’altro, elimina la competizione del mercato e può comportare minor efficienza, opacità nelle decisioni e rigidità nei costi. Anche l’ANAC (Autorità Anticorruzione) ha ricordato più volte che l’affidamento in house richiede un’analisi dettagliata dei benefici reali per la collettività, in termini di qualità e sostenibilità del servizio.
Nel caso torinese, la scelta si intreccia con una questione più ampia: la crisi finanziaria di Gtt e l’aumento dei costi per gli utenti. Da più di un anno, il biglietto urbano cartaceo è ormai passato da 1,70 a 2 euro, mentre la tariffa digitale è salita a 1,90 euro. Un incremento che Palazzo Civico ha giustificato con il mancato finanziamento regionale del trasporto pubblico, ma che di fatto ha aggravato il peso sui cittadini in un momento di inflazione elevata. Una misura impopolare, che ha riaperto la discussione su come venga gestita la rete dei trasporti torinese: tra mezzi invecchiati, linee dismesse e ritardi cronici, la percezione del servizio resta distante dalle promesse di modernizzazione.
La Regione, per parte sua, sostiene la necessità di una pianificazione unica, affidata all’Amp, per garantire coerenza su scala metropolitana e razionalizzare i costi. L’obiettivo dichiarato è evitare sovrapposizioni di competenze e migliorare il coordinamento dei flussi, anche in vista dei finanziamenti legati alla transizione ecologica. Ma il Comune teme che un controllo regionale più forte possa ridurre la propria autonomia e mettere Gtt in una posizione subordinata, perdendo così la centralità di Torino nel sistema dei trasporti piemontese.
Sul piano politico, la trattativa è diventata una partita di equilibrio tra governance pubblica e interessi locali. L’affidamento diretto, pur teoricamente vantaggioso per rapidità e stabilità, rischia di diventare una scorciatoia. Senza una riforma strutturale del servizio, con obiettivi verificabili e risorse certe, la continuità rischia di tradursi in immobilismo. Torino continua a investire poco sul rinnovo della flotta e sulla manutenzione delle infrastrutture, mentre i disservizi si moltiplicano. Il recente aumento dei biglietti, deciso dal Comune, appare come una scelta difensiva più che strategica: un modo per compensare i mancati fondi regionali, ma scaricando il costo sui cittadini.
Sul fronte sociale, la questione è ancora più urgente. I sindacati chiedono garanzie occupazionali e un piano chiaro per i lavoratori che rischiano di restare esclusi dalla riorganizzazione. L’in house, senza correttivi, potrebbe ridurre le tutele o rallentare le assunzioni, mentre l’aumento delle tariffe rischia di allontanare una parte dell’utenza più fragile. Il trasporto pubblico, insomma, diventa terreno di scontro tra efficienza e giustizia sociale.
A questo punto restano aperte diverse domande: quale sarà il perimetro operativo dell’affidamento 2027–2033? Quali standard di qualità e obiettivi di sostenibilità saranno garantiti agli utenti? Come si tuteleranno i lavoratori, in un contesto già segnato da incertezze contrattuali e carenza di organico? E soprattutto, chi controllerà davvero l’esecuzione del servizio, in un modello che accentra le decisioni senza passare per il confronto pubblico di una gara?
Dietro numeri, sigle e formule giuridiche, la partita è tutta politica. Da un lato c’è il diritto dei cittadini a una mobilità efficiente, accessibile e sostenibile. Dall’altro c’è la sopravvivenza di una società pubblica, Gtt, che fatica da anni a uscire da una condizione di precarietà finanziaria e gestionale. L’in house potrà forse garantire un orizzonte di stabilità, ma senza una visione chiara e condivisa rischia di diventare un compromesso al ribasso, utile a guadagnare tempo, non a migliorare il servizio. E intanto, con il biglietto ormai a 2 euro, a pagare il prezzo più alto restano sempre gli stessi: i cittadini e i lavoratori.

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