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Piemonte, record di lupi morti: 65 carcasse recuperate dall’inizio dell’anno

Nel Torinese già venti esemplari rinvenuti, tra incidenti stradali e bracconaggio. Cresce il dibattito tra ambientalisti e cacciatori

Piemonte, record di lupi morti

Piemonte, record di lupi morti: 65 carcasse recuperate dall’inizio dell’anno

Il 2025 rischia di diventare l’anno nero per il lupo in Piemonte. Al 4 novembre, le autorità regionali e i centri di monitoraggio faunistico hanno già recuperato 65 carcasse di esemplari morti dall’inizio dell’anno, un numero superiore a quello registrato nello stesso periodo del 2024. Di queste, una ventina provengono dal Torinese, in particolare dalle Valli di Lanzo, dove oggi si muovono diversi branchi stabili.

Le cause di morte, spiegano gli esperti, sono in gran parte accidentali: investimenti lungo le strade di fondovalle, collisioni con mezzi pesanti, o cadute in zone impervie durante le fasi di dispersione. Ma una parte dei ritrovamenti porta i segni evidenti di atti dolosi. Alcuni lupi sono stati impallinati o intrappolati in congegni illegali, piazzati da ignoti che non esitano a mettere a rischio anche la sicurezza delle persone e degli altri animali selvatici.

Le statistiche indicano che l’autunno è il periodo in cui si concentra il maggior numero di ritrovamenti. È la stagione in cui i giovani esemplari lasciano il branco d’origine per cercare nuovi territori da colonizzare: un comportamento naturale, ma che li espone a pericoli maggiori, soprattutto nei tratti stradali che attraversano le vallate alpine e prealpine.

Gli addetti al monitoraggio parlano di un dato “eccezionale”, ma destinato purtroppo a salire. La popolazione di lupi sulle Alpi piemontesi è ormai in piena fase di espansione, dopo decenni di protezione e di ricolonizzazione spontanea. Non si tratta più di una specie minacciata, ma di un grande predatore che si è riappropriato di spazi naturali, suscitando nuove tensioni tra chi ne difende la presenza e chi la considera un problema da contenere.

Dal mondo venatorio arriva la voce di chi ritiene necessario un piano di controllo più severo. Secondo gli osservatori del Nuovo Cacciatore Piemontese, la presenza del lupo sarebbe «molto più ampia di quanto riportato dai censimenti ufficiali» e l’attuale quadro normativo non sarebbe più adeguato. A rendere il tema ancora più divisivo è la recente decisione del Parlamento europeo, che ha avviato la procedura per ridurre lo status di protezione del lupo da “strettamente protetto” a “protetto”, aprendo la possibilità di interventi di gestione nei Paesi membri.

Una misura accolta con favore dal fronte agricolo e da alcune realtà di montagna, ma definita «pericolosa e miope» dalle associazioni animaliste. Gli Animalisti Italiani hanno criticato duramente la scelta di Bruxelles, sostenendo che il lupo stia diventando «il capro espiatorio di un modello agricolo incapace di convivere con la fauna selvatica». L’organizzazione parla di un rischio concreto di recrudescenza del bracconaggio e di nuove “campagne d’odio” contro una specie simbolo della biodiversità europea.

Gli ambientalisti ricordano che la ricrescita della popolazione di lupi rappresenta una delle più importanti storie di successo della conservazione in Europa, e non un’emergenza da affrontare “con i fucili”. Secondo loro, la convivenza tra uomo e predatore è possibile, ma richiede strumenti concreti di prevenzione: indennizzi rapidi per gli allevatori, sistemi di dissuasione efficaci, recinzioni elettrificate e cani da guardiania.

Intanto, nelle Valli di Lanzo, i lupi continuano a lasciare tracce e ad attirare curiosità e timori. Le carcasse recuperate — molte delle quali consegnate all’Istituto Zooprofilattico di Torino per le analisi — raccontano di una popolazione numerosa ma fragile, sospesa tra naturalità e conflitto.

Mentre gli esperti attendono i dati definitivi di fine anno, un fatto è certo: la presenza del lupo in Piemonte non è più un evento eccezionale, ma una realtà strutturale che costringe territori e istituzioni a una riflessione più profonda. Perché la sfida, ormai, non è decidere se il lupo debba restare o meno, ma come convivere con lui senza trasformare la montagna in un campo di battaglia ideologica.

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