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Intervista
05 Novembre 2025 - 12:55
Dal 12 novembre i siti con contenuti per adulti dovranno verificare l’età degli utenti. Una misura voluta dall’Agcom, in applicazione del Digital Services Act europeo, per impedire ai minori di accedere ai portali pornografici. Ma a una settimana dall’entrata in vigore, tra gli addetti ai lavori regna ancora la confusione. “La notizia la conoscevamo da mesi, ma nessuno ci ha detto concretamente come adeguarci”, spiegano Enrico e Maria Giovanna, imprenditori del settore pornografico indipendente, che gestiscono un piccolo sito di distribuzione online.
Seduti davanti alle loro webcam, parlano con tono calmo ma preoccupato. «Ci avevano detto che avremmo avuto sei mesi per organizzarci — racconta Enrico — ma a oggi non sappiamo come farlo. Si parla di una doppia verifica tramite un’app e di un codice, un token, da generare sul telefono e poi inserire sul sito. Ma non c’è una spiegazione tecnica, non un protocollo, non un manuale operativo».
Secondo la nuova norma, la verifica dell’età non dovrà essere fatta direttamente dai siti porno ma da soggetti terzi certificati, come banche, operatori telefonici o aziende che già gestiscono dati anagrafici. Il sistema, garantendo l’anonimato, dovrebbe impedire la raccolta dei dati personali, ma al momento nessuno — neppure gli operatori del settore — sa come funziona davvero.

Maria Giovanna sospira. «È tutto molto fumoso. Si parla di proteggere i minori, ed è giusto, ma così si rischia di favorire i siti pirata, quelli esteri, quelli che rubano contenuti e che non si adegueranno mai alla legge. Noi invece, che lavoriamo in modo legale e trasparente, rischiamo di perdere traffico e utenti».
La loro paura è anche economica. «Gli utenti si scoraggeranno — spiega Enrico — perché questo sistema rende tutto più lento e macchinoso. Se una persona deve inserire un codice, aspettare un’autorizzazione, scaricare un’app, probabilmente rinuncia e cerca altrove. È come se, per rilassarsi cinque minuti, dovesse prima fare un percorso a ostacoli».
Maria Giovanna aggiunge una riflessione più ampia: «Si parla tanto di tutela, ma vietare non educa. Il problema non è il porno in sé, ma la mancanza di educazione sessuale. Se un ragazzino guarda contenuti per adulti senza capirli, non è colpa nostra. È colpa del vuoto educativo che c’è a casa e a scuola. Io ho aderito a una campagna di sensibilizzazione proprio su questo: serve insegnare ai ragazzi cos’è la sessualità, spiegare che il porno è una messa in scena, non un modello da imitare».
Nel loro piccolo, raccontano, cercano di fare le cose “per bene”: liberatorie firmate, controllo dell’età degli attori, materiali originali. «Eppure siamo noi quelli più esposti — dice Enrico — perché se l’Agcom decidesse di sanzionarci, rischieremmo di chiudere. E non per cattiva volontà, ma per mancanza di istruzioni».
Sul piano europeo, la normativa non è un unicum: nel Regno Unito e in altri Paesi del Nord Europa esistono già sistemi simili. «Lì — ricorda Maria Giovanna — dopo l’introduzione delle verifiche, si è registrato un calo del 30% del fatturato. È chiaro che una legge così impatta anche sulla sopravvivenza delle piccole realtà. Ma soprattutto, se non c’è uniformità tra i Paesi, il sistema diventa inefficace: basta spostare i server all’estero e si aggira tutto».
Il rischio, spiegano, è quello di una pornografia a due velocità: da una parte i colossi internazionali, con risorse per adeguarsi rapidamente; dall’altra i piccoli produttori, che lavorano in regola ma si trovano schiacciati dalla burocrazia. «È una legge che nasce con buone intenzioni — conclude Enrico — ma che senza chiarezza rischia di diventare una trappola. Noi vogliamo solo sapere cosa dobbiamo fare, in modo trasparente e realistico».
Poi il discorso si allarga ancora. Maria Giovanna, quasi con tono materno, lancia un appello: «Basta fare finta che il problema sia il porno. Il vero tema è l’educazione. I giovani troveranno sempre un modo per aggirare le restrizioni, sono nativi digitali. Ma se gli spieghi che quello che vedono è finzione, recitazione, non un modello, allora sì che li proteggi davvero».
Il 12 novembre, mentre l’Italia sperimenta per la prima volta un sistema di verifica digitale dell’età, Enrico e Maria Giovanna attendono un’e-mail, una guida, una direttiva ufficiale. «Al momento — dicono — navighiamo a vista. E non sappiamo se, la prossima settimana, potremo ancora lavorare come oggi».




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