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Medici di famiglia in sciopero: lo Snami denuncia la crisi della medicina territoriale

Dalla burocrazia alla carenza di tutele, il sindacato chiede un cambio di rotta per salvare la sanità di prossimità

Medici di famiglia in sciopero

Medici di famiglia in sciopero: lo Snami denuncia la crisi della medicina territoriale

Da nord a sud, ambulatori semivuoti e telefoni che squillano a vuoto. È il segnale dello sciopero nazionale dei medici di medicina generale aderenti allo Snami, il Sindacato nazionale autonomo dei medici italiani, che oggi ha deciso di incrociare le braccia per denunciare una crisi strutturale ormai insostenibile.

Le motivazioni della protesta affondano le radici in anni di promesse disattese e scelte politiche discutibili. In una nota diffusa nella mattinata, lo Snami ha parlato di “svalutazione della medicina territoriale”, di mancata tutela della genitorialità, di assenza di programmazione universitaria e di ostacoli burocratici che soffocano la professione. Non si tratta, spiegano, di un gesto isolato, ma di un grido d’allarme per salvare quella che è la prima linea del sistema sanitario italiano, la più vicina ai cittadini e oggi tra le più fragili.

Lo sciopero riguarda l’intera rete della medicina generale, dal ruolo unico di assistenza primaria a ciclo di scelta (8-20) e ad attività oraria (20-24), fino alla medicina di emergenza territoriale (00.01-23.59), alla medicina dei servizi territoriali (8-20) e all’assistenza negli istituti penitenziari (00.01-23.59).

Nonostante l’astensione dal lavoro, la categoria ha garantito le prestazioni essenziali e urgenti, nel rispetto della normativa vigente, per non compromettere la tutela dei pazienti più fragili. Ma dietro la sigla burocratica di una giornata di sciopero si nasconde un problema più profondo: la disgregazione della medicina di base, sempre più schiacciata tra burocrazia e carenza di risorse, e sempre meno riconosciuta nel suo ruolo di presidio fondamentale della salute pubblica.

Da anni i medici di famiglia sono il primo filtro tra i cittadini e gli ospedali, ma oggi denunciano un clima di abbandono istituzionale. Durante la pandemia hanno rappresentato la spina dorsale della rete territoriale, ma oggi si trovano soli a gestire un carico di lavoro crescente, spesso senza strumenti adeguati.

In molte regioni italiane un medico di base arriva a seguire oltre 1.500 pazienti, con orari che superano regolarmente le dodici ore al giorno. Una condizione che incide sulla qualità dell’assistenza e sulla salute dei professionisti stessi. A questo si aggiunge la carenza di ricambio generazionale: migliaia di medici andranno in pensione nei prossimi cinque anni e il sistema, avvertono i sindacati, non è pronto a sostituirli.

Lo Snami parla apertamente di una “crisi di vocazione” tra i giovani medici, scoraggiati da contratti rigidi, compensi insufficienti e percorsi formativi poco chiari. La formazione in medicina generale, ricordano, è ancora percepita come una specializzazione “minore” rispetto a quelle ospedaliere. Eppure, la medicina territoriale rappresenta il primo presidio di prevenzione e cura per milioni di italiani, in particolare per gli anziani e i pazienti cronici.

Uno dei nodi centrali della protesta è la burocrazia. Ogni giorno i medici sono costretti a dedicare ore a pratiche amministrative, compilazioni di moduli e aggiornamenti di piattaforme digitali, a scapito del tempo dedicato ai pazienti. “Siamo diventati impiegati sanitari, non più medici”, lamentano in molti. La digitalizzazione, che avrebbe dovuto semplificare il lavoro, si è trasformata in un ulteriore peso, aggravando responsabilità e rischi legali anche per errori minimi.

La protesta riguarda anche la mancanza di tutele familiari e genitoriali, soprattutto per le dottoresse, spesso lasciate senza adeguate coperture in caso di maternità o malattia. Questo disincentiva molte giovani professioniste e contribuisce alla fuga dalla medicina di base, aggravando un quadro già compromesso.

Il cuore politico della mobilitazione è però la svalutazione della medicina territoriale. Da anni si parla di rilancio della sanità di prossimità, ma i risultati concreti restano scarsi. Le Case di Comunità e gli Ospedali di Comunità previsti dal PNRR rischiano di restare scatole vuote se non si investe sulla rete dei medici di base, sull’organizzazione e sul personale.

Lo Snami accusa le istituzioni di aver ridotto i medici di famiglia a ingranaggi amministrativi, negando loro l’autonomia e il riconoscimento professionale che spetterebbero a chi garantisce ogni giorno la continuità assistenziale nel territorio. “Non vogliamo diventare impiegati regionali, ma continuare a essere medici liberi, legati ai pazienti e al territorio”, si legge nella nota diffusa dal sindacato.

La mobilitazione arriva in un momento critico per la sanità pubblica italiana, già messa a dura prova dalla carenza di personale, dalla fuga dei medici all’estero e da liste d’attesa infinite. In molte aree rurali e montane trovare un medico di famiglia è già oggi difficile: alcuni cittadini devono percorrere decine di chilometri per ottenere una visita o una ricetta. E la situazione rischia di peggiorare rapidamente: entro il 2024 oltre 10.000 medici di base andranno in pensione, e le nuove leve non basteranno a sostituirli.

Senza una riforma strutturale, avverte lo Snami, il collasso della medicina territoriale sarà inevitabile. Gli ospedali continueranno a riempirsi di pazienti che avrebbero bisogno solo di un consulto di base o di un monitoraggio domiciliare, e la sanità pubblica diventerà sempre più inefficiente e diseguale. È il paradosso di un sistema che, per risparmiare sulla prevenzione, finisce per spendere di più nelle emergenze.

Con lo sciopero, il sindacato ha voluto lanciare un messaggio chiaro alla politica: non si può riformare la sanità senza i medici di base. Le richieste sono precise: un nuovo contratto nazionale, un piano straordinario di formazione e assunzioni, una revisione della burocrazia che restituisca tempo e dignità alla professione. E soprattutto, un riconoscimento del ruolo strategico della medicina di prossimità. Non chiediamo privilegi ma rispetto e ascolto. La nostra è una battaglia per il futuro del sistema sanitario, non solo per una categoria”, ribadiscono i rappresentanti dello Snami.

Mentre la protesta scuote ambulatori e Regioni, resta una domanda inevasa: chi si prenderà cura del territorio quando anche l’ultimo medico di base deciderà di smettere? Se la politica non risponderà presto, sarà troppo tardi per evitare che il collasso annunciato diventi realtà.

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