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Canavese senza medici di famiglia: quattro paesi in attesa e 2.300 cittadini nel limbo

Quattro comuni del Canavese senza medici: 2.300 persone, ultima dottoressa in pensione. Appello all’ASL, carenze destinate a crescere

Canavese senza medici di famiglia: quattro paesi in attesa e 2.300 cittadini nel limbo

Canavese senza medici di famiglia: quattro paesi in attesa e 2.300 cittadini nel limbo

In Canavese cresce il vuoto sanitario. I Comuni di San Martino Canavese, Perosa, Vialfrè e Scarmagno, insieme circa 2300 abitanti, sono rimasti senza medico di base dopo il pensionamento dell’unica dottoressa che garantiva il servizio di medicina generale sul territorio. Da settimane, gli ambulatori sono chiusi e le comunità, in gran parte composte da anziani e famiglie senza auto, vivono una situazione che rischia di trasformarsi in emergenza strutturale. I sindaci dei quattro paesi hanno deciso di unire le forze e di rivolgere un appello ufficiale all’Asl, chiedendo il ripristino del servizio o, quantomeno, l’attivazione di un ambulatorio unico condiviso. Ma, per ora, la soluzione non si intravede.

La vicenda non è isolata: rappresenta, piuttosto, il simbolo di una crisi che attraversa molti territori del Piemonte, soprattutto quelli collinari e montani. La carenza di medici di medicina generale è un fenomeno noto, ma oggi assume i contorni di una vera e propria emergenza territoriale. Secondo uno studio della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), entro il 2032 andranno in pensione 2627 medici su 3335 attualmente in servizio nella regione, pari al 78,7% del totale. Un ricambio generazionale lento, reso ancora più difficile dalla scarsa attrattiva dei piccoli centri, dove i medici giovani non vogliono trasferirsi, preferendo ambiti urbani con servizi più accessibili e carichi di lavoro più sostenibili.

A San Martino, Perosa, Vialfrè e Scarmagno la situazione è già insostenibile. Gli ambulatori sono chiusi, i pazienti devono spostarsi fino a Ivrea o Strambino per le visite più comuni, e i medici dei paesi vicini hanno ormai raggiunto il massimo dei pazienti assegnabili. I sindaci parlano di “una sanità territoriale dimenticata” e chiedono all’Asl di “farsi carico della continuità assistenziale”, magari istituendo un presidio unico nei locali già disponibili, con un medico a rotazione o con un sistema di telemedicina assistita. Ma, per ora, nessun medico ha accettato di subentrare.

Il rischio, dicono gli amministratori, è che “le aree interne vengano abbandonate, con un effetto domino sulla qualità della vita e sulla permanenza dei cittadini”. È la fotografia di un Piemonte spaccato in due: da un lato le città dove il servizio sanitario, pur sotto pressione, resta accessibile; dall’altro le colline e le valli dove ogni pensionamento apre un vuoto difficilmente colmabile.

Nei numeri si legge la dimensione del problema. In provincia di Torino, l’età media dei medici di base supera i 59 anni. Tra le cause principali, oltre al pensionamento massiccio, c’è la riduzione dei medici formati nei corsi regionali e una distribuzione territoriale squilibrata. Le aree più disagiate — come il Canavese, le valli di Lanzo e parte del Cuneese — restano scoperte, mentre nelle città i medici si trovano a gestire fino a 1500 assistiti ciascuno, ben oltre le soglie ottimali.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevedeva il potenziamento della sanità di prossimità, con la creazione di Case e Ospedali di Comunità, ma i tempi di realizzazione sono ancora lontani e i territori chiedono risposte immediate. In molte zone, l’unico presidio rimasto è la Guardia medica, che però copre solo fasce orarie limitate. Per il resto, restano le farmacie e i servizi di emergenza, sovraccarichi di richieste.

Non si può morire per mancanza di un medico di base”, ripetono gli amministratori canavesani, che nei prossimi giorni chiederanno un incontro urgente con la Direzione Generale dell’Asl To4. L’obiettivo è definire una strategia transitoria: “Chiediamo di non essere lasciati soli — spiega un sindaco —. I nostri cittadini hanno gli stessi diritti di chi vive in città. Servono incentivi concreti, alloggi, rimborsi per gli spostamenti, qualsiasi misura che possa convincere un medico a restare o a venire qui”.

Nel frattempo, i cittadini si organizzano come possono: c’è chi chiede aiuto ai parenti per raggiungere gli ambulatori nei comuni vicini, chi si affida a consulti telefonici o a farmacie per il rinnovo delle ricette, chi rinuncia alle visite meno urgenti. Una sanità di prossimità che si sbriciola, mentre la popolazione invecchia e la domanda di assistenza cresce.

Il Canavese oggi è la spia di un sistema che rischia il collasso nelle aree interne. La carenza di medici non è più un’emergenza occasionale, ma un fenomeno strutturale, destinato ad aggravarsi nei prossimi anni se non si interviene con piani di lungo periodo. Incentivi economici, borse di studio vincolate ai territori, ambulatori associati e telemedicina sono le strade indicate dagli esperti. Ma, per ora, nei piccoli paesi resta solo il silenzio di studi chiusi e di sale d’attesa vuote.

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