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Salute
04 Novembre 2025 - 10:54
Volo Ryanair, la borsa dei farmaci salvavita finisce in stiva: 30enne con fibrosi cistica costretto a pagare e separarsi dalle terapie
Un viaggio della speranza si è trasformato in un caso che interroga procedure, tutele e buon senso: il 30 ottobre, all’aeroporto di Lisbona, un trentenne del Triveneto affetto da fibrosi cistica è stato costretto dal personale d’imbarco di Ryanair a pagare un supplemento di 60 euro e a spedire in stiva la borsa con i propri farmaci salvavita, nonostante documentazione clinica e prescrizioni in doppia copia.
«Ero rientro da Fatima, viaggio breve e motivato dalla mia salute — spiega il passeggero — avevo il mio zaino pieghevole e una borsa con le terapie. Ho ricordato che i medicinali salvavita non rientrano nel conteggio del bagaglio a mano, ma mi è stato ripetuto che avrei perso il volo se avessi chiesto un supervisore. Ho pagato, e mi hanno imposto di mandare in stiva la borsa: sono rimasto senza accesso immediato ai farmaci per tutto il volo».
Il giovane si è rivolto a Codici, associazione dei consumatori che ha attivato l’ufficio legale per chiedere chiarimenti alla compagnia e un risarcimento per il disagio patito. «Non è la prima volta che riceviamo segnalazioni su Ryanair — osserva il segretario nazionale Ivano Giacomelli — questo episodio è inammissibile: ci aspettiamo che la compagnia ascolti e cambi prassi». Sul piano normativo, il profilo è delicato: oltre all’obbligo generale di assistenza al passeggero, il Regolamento CE 1107/2006 tutela i viaggiatori con disabilità o a mobilità ridotta, imponendo alle compagnie di consentire il trasporto in cabina dei dispositivi e dei medicinali necessari, insieme alla possibilità di accedervi durante il volo.

«Costringere un paziente con patologia cronica a separarsi dai farmaci — aggiunge l’avvocato Stefano Gallotta, consulente di Codici per il settore viaggi — è condotta in contrasto con la normativa europea e con i doveri di attenzione: in quota la pressione è più bassa, l’ossigenazione è ridotta, le condizioni possono cambiare improvvisamente, e la disponibilità immediata delle terapie non è un dettaglio, è una garanzia di sicurezza».
Il passeggero racconta un crescendo di rigidità: prima la richiesta di inserire lo zaino nella gabbia di misurazione, nonostante fosse «visibilmente conforme»; poi l’alternativa tra perdere l’aereo o pagare il supplemento; infine l’imposizione dell’imbarco in stiva. «Mi sono sentito umiliato — dice — ho chiesto solo di poter tenere con me le cure, accompagnate da certificazione del Centro Fibrosi Cistica. È stata una prova psicologica oltre che fisica».
La vicenda riaccende un tema noto a medici e associazioni: la necessità di linee operative chiare e uniformi ai gate, perché l’esercizio del potere discrezionale non si traduca in barriere d’accesso alla salute. La prassi adottata da molti vettori — più o meno formalizzata — consente ai passeggeri con terapia documentata di portare in cabina una borsa medica separata dal bagaglio a mano, proprio per evitare casi-limite come quello di Lisbona.
Quando questo non accade, il rischio è doppio: da un lato si espone la persona a un pericolo sanitario potenziale, dall’altro si alimentano contenziosi che potrebbero essere evitati con una semplice verifica documentale e un richiamo puntuale alle regole europee. In attesa della replica della compagnia, Codici ha preannunciato la richiesta di ristoro per i danni patrimoniali e non patrimoniali, oltre alla segnalazione formale alle autorità competenti.
Il passeggero, che segue terapie tra Treviso e Verona, ha scelto di rendere pubblica la sua storia per «evitare che altri si trovino nella stessa situazione». Al centro restano tre parole che dovrebbero orientare ogni procedura: tutela, proporzionalità, accesso. Le norme ci sono; applicarle con ragionevolezza è l’unico modo per evitare che un «ritorno a casa» diventi un volo da incubo.
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