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03 Novembre 2025 - 13:33
												Alpinista pinerolese tratto in salvo in Nepal, i due compagni restano dispersi (foto: Valter Perlino)
Un malore, un imprevisto che in altre circostanze sarebbe stato un ostacolo. In Nepal, invece, ha salvato una vita. Valter Perlino, 64 anni, veterinario e alpinista di Pinerolo, è l’unico superstite italiano della spedizione impegnata nella scalata del monte Panbari, una vetta di quasi 7.000 metri nel cuore dell’Himalaya. I suoi due compagni di cordata, Stefano Farronato di Bassano del Grappa e Alessandro Caputo di Milano, risultano tuttora dispersi dopo essere stati travolti dal maltempo mentre si trovavano oltre quota 5.000.
Il gruppo aveva raggiunto il campo base nei giorni scorsi per preparare l’attacco alla vetta. L’ascesa, parte del progetto “Panbari Q7” — nome che richiama la “quota quasi settemila” — doveva avvenire sabato, in stile alpino e in piena autonomia, senza corde fisse e senza supporti esterni. Ma Perlino, provato da un malessere improvviso, ha deciso di restare al campo base, rinunciando alla salita. I compagni hanno invece scelto di proseguire, nonostante un peggioramento improvviso del meteo, e si sono avventurati verso il “Campo 1”. Da quel momento, la comunicazione si è interrotta.
È stato proprio Perlino a lanciare l’allarme, quando non è più riuscito a mettersi in contatto con loro. Ha atteso invano un segnale radio, poi ha avvisato le autorità nepalesi. Il maltempo, intanto, aveva colpito l’area con violente nevicate e temperature ben sotto i –20 gradi, impedendo qualsiasi spostamento. L’alpinista pinerolese è stato infine recuperato da un elicottero e portato in salvo in un campo militare della regione. È in buone condizioni di salute, provato ma lucido.
Le operazioni di ricerca, coordinate dalle autorità nepalesi con il supporto logistico dell’ambasciata italiana a Kathmandu, proseguono in condizioni proibitive. La zona del Panbari Himal, che si trova nella catena del Mansiri, al confine con il Tibet, è una delle aree più isolate del Paese: impervia, raramente esplorata, con vie di accesso minime e pochissimi villaggi nelle vicinanze. Gli elicotteri non riescono ad avvicinarsi oltre una certa quota, e le squadre di soccorso procedono a piedi con un dislivello estremo e visibilità quasi nulla.

Valter Perlino
Perlino conosce bene le difficoltà dell’Himalaya. Veterinario di professione, alpinista per vocazione, ha alle spalle una lunga carriera di spedizioni e di esplorazioni. È noto nell’ambiente piemontese come un uomo schivo ma tenace, capace di imprese tecniche di grande rilievo condotte con spirito indipendente. Ha scalato l’Everest in solitaria, senza ossigeno e con tecnica puramente alpinistica, un traguardo che pochi italiani possono vantare. Ha poi affrontato il Cho Oyu, la sesta montagna più alta del mondo, insieme all’amico cuneese Sebastiano Audisio, con cui ha condiviso anche altre spedizioni nel Pamir e in Alaska, dove ha raggiunto la vetta del Denali.
Dieci anni fa, nel 2015, si trovava ancora in Himalaya, al campo base avanzato dello Shisha Pangma, quando il Nepal fu devastato dal terremoto di magnitudo 8.1. Anche allora Perlino e il suo compagno rimasero illesi, pur vivendo in diretta l’inferno di una delle tragedie più grandi della storia recente del Paese.
La sua carriera non si limita alle grandi vette: nel 2023, insieme a Audisio, ha raggiunto in mountain bike la quota record di 6.961 metri sull’Aconcagua, dimostrando che l’avventura non è soltanto una questione di altitudine, ma di curiosità e libertà. Con lui viaggiavano sempre una videocamera, un taccuino e la convinzione che la montagna fosse prima di tutto un mezzo per conoscere, non un palcoscenico per apparire.
Nel mondo dell’alpinismo, Perlino è apprezzato per la sobrietà e per lo stile “pulito”, lontano dai riflettori e dai social. Non cerca record da esibire, ma percorsi da comprendere. È stato protagonista di traversate su ghiacciai dell’Asia centrale, missioni di solidarietà e trekking in aree remote. Il suo approccio è quello di chi ha scelto di conciliare una vita professionale stabile con la passione per la scoperta, vivendo la montagna come parte di un equilibrio più ampio tra natura e responsabilità.
La spedizione al Panbari rappresentava per lui un ritorno all’Himalaya dopo anni di esperienze diverse. L’obiettivo non era soltanto raggiungere la vetta, ma esplorare una via ancora poco documentata, tracciando un percorso originale. L’impresa, organizzata insieme a Farronato e Caputo, era stata presentata come un progetto di alpinismo “leggero”, rispettoso dell’ambiente e delle popolazioni locali.
Ora di quel viaggio resta solo la paura e l’attesa. Il malore di Perlino — forse dovuto all’altitudine o al freddo estremo — gli ha impedito di partire insieme ai compagni e gli ha permesso, oggi, di essere il solo a raccontare cosa è accaduto. Secondo le prime informazioni, la perturbazione che ha travolto la zona del Campo 1 era imprevista e ha bloccato le squadre in quota. I soccorritori nepalesi hanno raggiunto soltanto una parte della zona, trovando neve profonda e slavine lungo il percorso.
Nel frattempo, a Pinerolo, cresce l’ansia per la sorte dei due dispersi. Amici e conoscenti di Perlino, che nella città piemontese è una figura benvoluta, si sono stretti intorno alla famiglia in attesa di aggiornamenti. Chi lo conosce racconta di un uomo preciso, riservato, che non ha mai confuso la passione con l’imprudenza. Un alpinista che ha sempre rispettato le regole, che si è formato nelle sezioni del CAI e che ha costruito la propria esperienza lontano dai clamori mediatici.
Questa volta il destino ha scelto per lui: il corpo provato dal mal di montagna lo ha costretto a fermarsi, proprio mentre i compagni partivano verso l’altopiano ghiacciato del Panbari. E in quel momento, senza saperlo, si è salvato la vita.
Le ricerche proseguono tra le tempeste, con l’aiuto delle guide sherpa e delle autorità locali. La Farnesina segue il caso con attenzione, mantenendo contatti costanti con i familiari dei tre italiani. Ma le speranze, con il passare delle ore, si affievoliscono. In una spedizione che doveva raccontare la forza dell’uomo di fronte alla natura, è stato ancora una volta l’imponderabile a decidere.

Valter Perlino
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