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27 Ottobre 2025 - 10:26
Crollo del prezzo del riso piemontese, Coldiretti tuona: "Quotazioni dimezzate per colpa delle importazioni"
Il riso italiano, simbolo della pianura vercellese e fiore all’occhiello dell’agroalimentare piemontese, è oggi al centro di una crisi che rischia di travolgere un intero comparto. Le quotazioni del riso tricolore sono infatti quasi dimezzate rispetto a pochi mesi fa, con i produttori costretti a vendere a cifre inferiori ai costi di produzione. A lanciare l’allarme è la Coldiretti Vercelli-Biella, che parla di “una situazione drammatica” causata dalle importazioni incontrollate di riso straniero.
Nel dettaglio, secondo i dati diffusi dall’associazione, le varietà più note e pregiate — Carnaroli, Arborio e Baldo — sono passate da 1–1,10 euro al chilogrammo a soli 60–70 centesimi nell’attuale campagna di raccolta. Tutto questo mentre la produzione si mantiene stabile, leggermente superiore ai livelli dello scorso anno.
Dietro al crollo, spiegano gli esperti, c’è l’aumento delle importazioni di riso a basso costo proveniente da Asia e Africa. Nei primi sette mesi del 2025 gli arrivi in Italia sono cresciuti del 10%, per un totale di 208 milioni di chili, secondo l’analisi Coldiretti basata sui dati Istat. A rendere la situazione ancora più grave, il fatto che oltre il 60% di questo riso importato benefici di tariffe agevolate, che rendono di fatto impossibile la concorrenza con i produttori italiani.
«Il problema non è solo economico, ma anche normativo» spiega Roberto Guerrini, membro di giunta di Coldiretti Piemonte con delega al settore risicolo e presidente di Coldiretti Vercelli-Biella. «Restano preoccupanti le ultime notizie sui negoziati per la revisione del Regolamento sul Sistema delle preferenze generalizzate (Spg), che rischia di introdurre una clausola di salvaguardia inefficace per tutelare il riso europeo».

L’Spg è il meccanismo che regola i rapporti commerciali tra l’Unione Europea e i Paesi in via di sviluppo, consentendo a molti di esportare con dazi ridotti o nulli. Un principio pensato per favorire la crescita dei Paesi più poveri, ma che nel caso del riso ha prodotto effetti collaterali pesanti: saturazione del mercato interno e crollo dei prezzi per gli agricoltori italiani.
Il Piemonte, e in particolare la provincia di Vercelli, rappresenta il cuore della risicoltura nazionale, con oltre la metà delle superfici coltivate a riso in Italia. Ma oggi le aziende agricole rischiano di lavorare in perdita, strette tra costi di produzione sempre più alti — energia, acqua, manodopera — e prezzi di vendita che non coprono le spese.
A peggiorare il quadro, spiegano da Coldiretti, c’è anche la mancanza di trasparenza sull’origine del prodotto: nei supermercati, molte confezioni di riso estero vengono vendute come “italiane” grazie a etichette ambigue o alla semplice fase di confezionamento svolta nel nostro Paese.
L’associazione chiede quindi misure urgenti al governo e all’Unione Europea: controlli più severi sulle importazioni, obbligo di etichettatura d’origine chiara e una revisione delle politiche commerciali europee che penalizzano i produttori locali.
Il rischio, se non si interviene rapidamente, è che un’intera filiera venga messa in ginocchio. Una filiera che dà lavoro a migliaia di persone, custodisce un patrimonio agricolo secolare e rappresenta uno dei prodotti più riconosciuti del Made in Italy agroalimentare.
Il grido d’allarme arriva proprio nel momento della raccolta, quando le risaie del Vercellese e del Biellese dovrebbero essere il simbolo della prosperità contadina. Invece, tra i filari d’acqua si respira preoccupazione e amarezza.
«Non chiediamo assistenzialismo — ha aggiunto Guerrini — ma regole giuste e mercati equi. Perché se un riso asiatico può essere venduto in Europa a metà prezzo grazie a tariffe agevolate, allora non parliamo più di concorrenza, ma di sopravvivenza».
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