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20 Ottobre 2025 - 14:58
Mostra “Manifesti d’Artista”: al Museo del Cinema di Torino il confine tra arte e pubblicità si dissolve (una delle opere esposte)
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Data di inizio 20.10.2025 - 00:00
Data di fine 22.10.2025 - 00:00
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Dal 20 ottobre 2025 al 22 febbraio 2026, il Museo Nazionale del Cinema di Torino ospita la mostra “Manifesti d’Artista”, curata da Nicoletta Pacini e Tamara Sillo, un percorso affascinante attraverso dieci manifesti cinematografici di grande formato, dal muto al sonoro, capaci di trascendere la funzione pubblicitaria per diventare autentiche opere d’arte.
L’esposizione, allestita al piano di accoglienza della Mole Antonelliana, riporta alla luce tesori nascosti provenienti dalle vaste collezioni del museo, che conta oltre 540.000 manifesti. In mostra anche una rarità: la brochure realizzata da Renato Guttuso per il lancio del film Riso Amaro di Giuseppe De Santis. Il biglietto d’ingresso dedicato, fissato a 4 euro, offre la possibilità di visitare un allestimento che fonde cinema, arte e storia in un racconto visivo senza tempo.
Dietro ciascun manifesto esposto si cela la mano di un artista fuori dagli schemi, prestato al cinema per un momento ma capace di imprimere alla cartellonistica un linguaggio pittorico dirompente. Le opere di Rodčenko, Prampolini, Guttuso, Baj, Scarpelli, Toddi e Vera D’Angara restituiscono la vitalità culturale di epoche diverse e la continua contaminazione tra arti visive e narrazione cinematografica.
«Per diversi decenni i manifesti erano l’unico modo per attrarre il pubblico al cinema, se si escludono i grandi divi» osserva Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. «Il fermento dei primi anni del Novecento ha favorito questa commistione tra le arti, un nuovo modo di raccontare e comunicare. Con questa mostra vogliamo valorizzare la ricchezza delle nostre collezioni e il lavoro di chi, ogni giorno, si impegna nella loro conservazione».
Per il direttore del museo Carlo Chatrian, la mostra trasforma il piano zero della Mole in «una piccola galleria d’arte», capace di esplorare le contaminazioni tra cartellonismo e arte pura. «Se il manifesto nasce per promuovere un film, in questi dieci gioielli esso si libera da quel legame e chiede di essere ammirato come opera autonoma. La fragilità della carta, che registra il passare del tempo, diventa parte stessa della sua bellezza».
Il percorso espositivo parte dalle esplosioni di colore futuriste di Filiberto Scarpelli e Enrico Prampolini, autori dei manifesti per Il sogno di Don Chisciotte e Thaïs — quest’ultimo considerato l’unico film futurista italiano sopravvissuto — per poi attraversare gli anni Venti con la raffinatezza grafica di Toddi e Vera D’Angara, coppia di artisti tra le più originali del Novecento.
Un momento di rottura arriva con la potenza visiva del manifesto de La corazzata Potëmkin, ideato da Aleksandr Rodčenko, fondatore del Costruttivismo russo, in cui l’arte si fa veicolo di un messaggio politico netto e visionario. L’opera, rarissima, è considerata una delle massime espressioni della fusione tra cinema e arte d’avanguardia.
Nel dopoguerra, la cartellonistica si rinnova grazie a Guttuso, Baj e ai registi che credono nel valore autoriale del manifesto, da Giuseppe De Santis a Francesco Rosi e ai fratelli Taviani. Le loro collaborazioni producono immagini che non si limitano a pubblicizzare, ma interpretano il film, trasformando la promozione in un’estensione artistica della regia.
Un aspetto centrale della mostra è l’attenzione all’accessibilità universale: l’allestimento è stato progettato secondo i criteri del Design for All. Tre pannelli multisensoriali permettono di esplorare in chiave tattile i manifesti di Prampolini, Scarpelli e Baj, con guida audio in italiano e inglese, traduzioni in LIS e lettura audio accessibile tramite QR code e NFC.
L’esposizione restituisce non solo il fascino estetico di questi capolavori, ma anche il valore storico e sociale di un’epoca in cui il manifesto era il volto del cinema, la sua voce visiva nelle piazze e nei boulevard. Oggi, in un tempo dominato da immagini digitali effimere, queste opere conservano un’intensità e un’artigianalità che parlano ancora al pubblico, ricordando che l’arte non ha confini di genere né di funzione.
Una delle opere esposte
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