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Italia cementificata, ogni ora 10mila metri quadrati di suolo spariscono sotto asfalto e cemento

Il nuovo rapporto Ispra fotografa un Paese che consuma più territorio che mai: record in Lombardia, Veneto e Campania, mentre anche le aree protette perdono terreno

Italia cementificata

Italia cementificata, ogni ora 10mila metri quadrati di suolo spariscono sotto asfalto e cemento

L’Italia continua a divorare se stessa, metro dopo metro. Secondo il nuovo Rapporto Ispra-SNPA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, nel 2024 sono stati coperti da nuove superfici artificiali quasi 84 chilometri quadrati di territorio, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente. Il consumo netto di suolo, cioè la differenza tra le aree cementificate e quelle restituite alla natura, raggiunge 78 chilometri quadrati, il valore più alto dell’ultimo decennio. In termini concreti, significa che ogni ora in Italia scompaiono 10mila metri quadrati di terreno naturale, l’equivalente di un campo da calcio. È come se il Paese, lentamente ma inesorabilmente, staccasse un tassello alla volta dal proprio mosaico ambientale.

Il consumo di suolo è ai massimi in Lombardia, Veneto e Campania, dove oltre il 10% della superficie è ormai impermeabilizzato: 12,22% in Lombardia, 11,86% in Veneto e 10,61% in Campania. In totale, 15 regioni hanno superato la soglia del 5%, segno che la cementificazione non è più un fenomeno circoscritto ma sistemico. L’Emilia-Romagna guida la classifica annuale con oltre 1.000 ettari consumati, seguita da Lombardia (834 ettari), Puglia (818), Sicilia (799) e Lazio (785). La crescita percentuale più significativa si registra in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre anche regioni considerate “virtuose” come la Valle d’Aosta aggiungono nuovi ettari cementificati. Solo Liguria, Molise e la stessa Valle d’Aosta restano sotto la soglia dei 50 ettari.

Il rapporto sottolinea come l’impermeabilizzazione avanzi in modo inesorabile lungo le fasce costiere, dove il suolo consumato nei primi 300 metri dal mare è più del triplo rispetto al resto del territorio nazionale, toccando il 22,9%. A crescere sono anche le colate di cemento nelle pianure, nei fondovalle e nelle aree agricole che circondano i centri urbani, dove la pressione edilizia è più forte. È un processo che compromette l’assorbimento delle acque, aumenta il rischio idrogeologico e riduce la capacità del suolo di regolare il clima.

Le città perdono anche il loro verde. Nel 2024 sono spariti 3.750 ettari di aree naturali urbane, mentre parcheggi, strade e piazzali si moltiplicano. La disponibilità di spazi verdi per abitante continua a diminuire, accentuando il divario tra i centri storici e le periferie. Ma il dato più inquietante riguarda le aree protette: anche lì il cemento avanza. L’Ispra segnala 81 ettari di suolo consumato all’interno di parchi naturali nazionali e regionali, oltre a 192 ettari di nuove superfici artificiali nei siti Natura 2000, con un incremento del 14% rispetto all’anno scorso.

Tra i fenomeni più controversi, emerge quello dei pannelli fotovoltaici installati a terra, che nel 2024 hanno quadruplicato la superficie occupata: dai 420 ettari del 2023 si è passati a oltre 1.700 ettari, l’80% dei quali collocati su terreni agricoli. Un paradosso che mette in luce il lato oscuro della transizione ecologica: produrre energia pulita può significare consumare suolo, se mancano criteri di pianificazione. Le regioni più coinvolte sono Lazio (443 ettari), Sardegna (293) e Sicilia (272). Al contrario, diminuiscono gli impianti agrivoltaici, passati da 254 a 132 ettari, che rappresentano una delle poche soluzioni sostenibili per coniugare energia e agricoltura.

A trainare la cementificazione c’è anche il settore della logistica, che dal 2006 ha coperto con capannoni e piazzali oltre 6.000 ettari di territorio, con nuovi incrementi soprattutto in Emilia-Romagna (+107 ettari), Piemonte (+74) e Lombardia (+69). Un’espansione silenziosa ma costante, alimentata dallo sviluppo dei poli di distribuzione e dei data center, le grandi infrastrutture digitali che divorano spazio senza essere percepite come edifici.

Il quadro che emerge è quello di un Paese che cresce contro natura. Mentre la popolazione cala e la crisi climatica accelera, l’Italia continua a cementificare aree agricole e ambienti naturali, riducendo la propria resilienza e compromettendo i servizi ecosistemici fondamentali. Gli 84 chilometri quadrati di suolo persi nel 2024 equivalgono a quasi tre volte la superficie del Comune di Milano, mentre le aree “restituite” alla natura non superano i 5 chilometri quadrati.

Per gli esperti dell’Ispra, il problema non è solo quantitativo ma qualitativo: «ogni metro quadrato impermeabilizzato è una perdita permanente di funzioni ambientali, idriche e climatiche». Il consumo di suolo, avvertono, non è un danno reversibile in tempi umani. Le superfici artificiali sottraggono capacità agricola, biodiversità e stabilità idrogeologica, aggravando i costi economici e sociali di alluvioni, siccità e inquinamento.

Il Rapporto Ispra rilancia così un appello già ripetuto negli ultimi anni: serve una legge nazionale sul consumo di suolo, ferma da oltre un decennio in Parlamento. Senza un limite chiaro e vincolante, il territorio italiano continuerà a essere trattato come una riserva infinita di spazio edificabile. Nel frattempo, le cifre del 2024 raccontano un Paese che non impara dai disastri ambientali e che, tra piani regolatori e nuove infrastrutture, continua a sacrificare la sua risorsa più preziosa: la terra sotto i piedi.

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