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05 Settembre 2025 - 16:25
Ghiacciai condannati: in 150 anni perso il 65% del volume. UniTo studia il disastro climatico (immagine di repertorio)
Il ghiacciaio Indren, sul Monte Rosa, è diventato un laboratorio naturale di disperazione e denuncia. Un luogo che racconta meglio di qualsiasi conferenza o slogan politico la fragilità delle montagne italiane e la rapidità con cui il cambiamento climatico sta cancellando secoli di storia geologica. A quota 3.200 metri, dove fino agli anni Novanta si sciava d’estate, oggi rimane un paesaggio mutilato, con lingue glaciali che arretrano anno dopo anno.
Proprio qui l’Università di Torino ha scelto di concentrare studi e ricerche sugli ambienti d’alta quota e sugli effetti devastanti del riscaldamento globale. Lo farà anche in occasione di Climbing for Climate, l’iniziativa della Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile che domani e domenica porterà studenti, docenti e ricercatori sul ghiacciaio, accompagnati da guide alpine e dal Cai. Ma accanto al lavoro degli scienziati, resta una domanda amara: a cosa serve continuare a raccogliere dati e produrre analisi, se la politica non ha mai avuto la volontà di trasformare quelle conoscenze in azioni concrete?
I numeri sono schiaccianti. Negli ultimi 150 anni i ghiacciai alpini hanno perso circa il 65% del loro volume. Negli ultimi 60, in Italia, sono scomparsi 170 chilometri quadrati di superficie glacializzata, un’area pari a tutto il Lago di Como. E le proiezioni per il futuro parlano chiaro: entro il 2050 un terzo delle masse glaciali delle Alpi sarà definitivamente perduto, anche nello scenario più ottimistico di mitigazione.
Di fronte a questa emergenza, la politica ha scelto troppo spesso la strada della retorica. Si sono moltiplicate le dichiarazioni solenni nei summit internazionali, i proclami di “zero emissioni” entro metà secolo, i piani strategici rimasti sulla carta. Eppure la realtà non cambia: mentre si discute di transizione ecologica, gli investimenti in energie fossili continuano a crescere, i trasporti pubblici restano insufficienti, i consumi energetici non calano, e la difesa dell’ambiente è ridotta a tema da campagna elettorale.
Il ghiacciaio Indren e con lui l’intero arco alpino pagano il prezzo di decenni di politiche timide e contraddittorie. Si è preferito parlare di “compatibilità con la crescita” piuttosto che imporre scelte scomode ma necessarie: limitare i consumi, ridurre drasticamente le emissioni, investire con coraggio in fonti rinnovabili e ricerca scientifica. Oggi ci si trova così con un patrimonio naturale in via di estinzione, sacrificato sull’altare di interessi economici immediati e di un consenso politico costruito sul breve termine.
Il Monte Rosa, che ospita anche l’Istituto scientifico Angelo Mosso inaugurato nel 1907 e recentemente rilanciato con nuovi laboratori multidisciplinari, è da decenni un punto di riferimento internazionale per la ricerca sul clima, la fisiologia e l’ambiente d’alta quota. Ma i dati raccolti da generazioni di studiosi sono rimasti lettera morta nelle stanze dei ministeri e nei palazzi di Bruxelles. Gli scienziati hanno lanciato allarmi, fornito scenari, dimostrato che il tempo era già scaduto. I governi hanno preferito annacquare ogni decisione, rinviando al futuro ciò che avrebbe dovuto essere fatto ieri.
Oggi non basta più parlare di “mitigazione”: i ghiacciai ci dicono che la soglia è stata superata. Non c’è congresso internazionale che possa restituire al Monte Rosa e alle Alpi il ghiaccio perduto. La politica continua a celebrare iniziative simboliche, ma non affronta le cause strutturali di questa catastrofe: il modello economico insostenibile, l’uso massiccio di combustibili fossili, la cementificazione del territorio.
La visita al ghiacciaio Indren, organizzata in questi giorni, ha quindi un valore che va oltre il dato scientifico. È una denuncia visibile: ogni metro perso è una sconfitta non della natura, ma della politica incapace di fermarne il degrado. Ogni crepa che si apre nel ghiaccio è lo specchio delle crepe di un sistema che continua a proclamare emergenze senza mai affrontarle.
La montagna non mente: le cifre sono incise nei ghiacciai che arretrano, negli impianti dismessi, nei paesaggi trasformati. Quello che resta è la testimonianza di ciò che la politica non ha voluto fare. Se oggi il 65% del volume glaciale è già perduto, non è stato per mancanza di studi o conoscenze. È stato per mancanza di coraggio.
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