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07 Luglio 2025 - 11:17
Il Mediterraneo in fiamme: coralli sbiancati, biodiversità in crisi e mare che si innalza
Non è più una semplice anomalia. Il Mediterraneo si sta riscaldando a un ritmo che gli scienziati definiscono allarmante, e la Sardegna ne è il punto critico. Il nuovo rapporto di Greenpeace Italia, Mare Caldo 2024, dipinge un quadro chiaro e inquietante: le temperature superficiali del mare hanno raggiunto livelli mai registrati prima, con un incremento medio di +1,49°C nell’area marina protetta di Capo Carbonara. Non si tratta di un’oscillazione passeggera. È una tendenza consolidata, che minaccia l’equilibrio di uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta.
Il dato più eclatante riguarda l’Isola dell’Asinara, dove nel solo 2023 si sono verificate 14 ondate di calore marine. Un numero record a livello nazionale, che evidenzia come anche le aree teoricamente protette non siano più in grado di resistere alla pressione del cambiamento climatico. Le stazioni di monitoraggio installate a Capo Carbonara, Tavolara-Punta Coda Cavallo e appunto sull’Asinara fanno parte di una rete nazionale coordinata da Greenpeace in collaborazione con enti di ricerca, e sono tra le poche fonti di dati sistematici sullo stato di salute delle nostre acque costiere.
Il fenomeno dello “sbiancamento dei coralli” non è più limitato a mari tropicali o barriere lontane. Sta accadendo ora, sotto i nostri occhi, nel Mediterraneo. Il corallo Cladocora caespitosa, simbolo della biodiversità sottomarina del bacino, sta mostrando segni preoccupanti di stress termico. Le colonie indebolite perdono colore, vitalità e capacità riproduttiva. È l’equivalente marino della desertificazione terrestre: una trasformazione lenta, ma irreversibile.
A rendere ancora più fragile questo equilibrio c’è un dato strutturale: il Mediterraneo ospita l’8% delle specie marine conosciute, ma rappresenta meno dell’1% della superficie oceanica globale. Un bacino piccolo, chiuso, densamente popolato, con un traffico marittimo intensissimo e soggetto a pressioni multiple. Alla crisi climatica si sommano inquinamento da plastica, scarichi industriali, cementificazione costiera, pesca intensiva e perdita di habitat.
Secondo il report, solo una quota minima delle acque mediterranee è effettivamente soggetta a tutele efficaci. Le aree marine protette spesso esistono solo sulla carta: mancano risorse, strumenti, controlli. E intanto il tempo stringe. Il cambiamento è già in atto.
Non è solo una questione di biodiversità. È anche una questione idrogeologica e climatica. L’innalzamento del livello del mare, accelerato nel 2024, è una diretta conseguenza del riscaldamento delle acque. Le rilevazioni satellitari della NASA parlano di un incremento medio annuo di 0,59 cm, ben al di sopra delle previsioni. Per la prima volta dal 1993, la dilatazione termica dell’acqua – e non lo scioglimento dei ghiacci – è diventata la principale causa dell’innalzamento globale. Questo cambia lo scenario: non si tratta solo di calotte polari lontane, ma di un Mediterraneo che si espande, sale, erode, inonda.
Le conseguenze possono essere devastanti per le aree costiere italiane, molte delle quali già soggette a erosione, subsidenza e fenomeni estremi. Piccoli porti, infrastrutture turistiche, habitat naturali e zone umide rischiano di scomparire o subire danni ingenti nei prossimi decenni. Il riscaldamento del mare altera anche la composizione delle specie: pesci termofili, alghe invasive, meduse e altre specie “aliene” stanno colonizzando sempre più aree, mettendo in crisi l’equilibrio ecologico e le attività economiche legate alla pesca tradizionale.
In occasione della Giornata Internazionale del Mar Mediterraneo, che si celebra l’8 luglio, Greenpeace Italia ha pubblicato una guida divulgativa dal titolo “Il Mare in Tasca”, pensata per sensibilizzare cittadini, turisti e amministratori locali. Un vademecum di buone pratiche, dati scientifici e strumenti per comprendere cosa sta succedendo e perché è fondamentale agire ora. Alla guida si affianca l’appello, condiviso anche dalla Fondazione Marevivo, per una decisa estensione delle aree marine protette e per politiche climatiche più ambiziose.
Non siamo davanti a un’emergenza improvvisa, ma a una crisi strutturale. Non è più sufficiente “monitorare” o “denunciare”: servono azioni coordinate e tempestive, a livello locale, nazionale ed europeo. Dal potenziamento della sorveglianza costiera alla riduzione delle emissioni climalteranti, dalla tutela delle praterie di Posidonia all’eliminazione della plastica in mare, ogni passo è fondamentale.
Il Mediterraneo, culla di civiltà e crocevia di rotte millenarie, rischia oggi di diventare il simbolo della nostra incapacità di proteggere ciò che ci è più vicino. Ma può anche essere il laboratorio di una nuova consapevolezza ambientale. A patto di ascoltare ciò che il mare sta cercando di dirci, prima che sia troppo tardi.
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