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Torino fa lavorare le donne ma le blocca: il soffitto di cristallo più duro d’Italia

Bilancio di genere della Città metropolitana: modello partecipato con Politecnico, presentazione oggi alle 15,30

A Torino le donne lavorano di più

A Torino le donne lavorano di più, ma il soffitto di cristallo è più spesso

C’è una fotografia che racconta molto più di un numero: quella di Torino, città che da sempre si considera laboratorio di modernità, ma che oggi si trova davanti a un paradosso sociale difficile da ignorare. Le donne torinesi lavorano di più rispetto alla media nazionale, ma avanzano di meno. È quanto emerge dal bilancio di genere della Città metropolitana, un documento che mette in fila dati, tendenze e diseguaglianze, restituendo un’immagine complessa della condizione femminile nel mercato del lavoro locale.

Il quadro è chiaro: l’occupazione femminile a Torino è più alta che nel resto del Paese, ma le opportunità di crescita professionale restano limitate. La quantità c’è, la qualità manca. Non basta far entrare più donne nel mercato del lavoro se poi la scala gerarchica si interrompe a metà. E il “soffitto di cristallo”, quella barriera invisibile ma tenace che separa le donne dalle posizioni apicali, qui sembra più spesso che altrove.

Il bilancio di genere non è un semplice esercizio statistico. È un dispositivo politico, un metodo per misurare come le risorse pubbliche incidano diversamente su uomini e donne, e per valutare se le politiche locali contribuiscano davvero alla parità. Quello torinese, realizzato nell’ambito del progetto “Torino Città per le donne” con la collaborazione del Politecnico di Torino, è il risultato di un lavoro partecipato tra istituzioni, enti di ricerca, imprese e associazioni.

La sua forza sta proprio nel metodo: non solo numeri, ma anche interpretazione, confronto e responsabilità condivisa. Perché il dato, da solo, non basta a cambiare le cose. Serve la capacità di leggerlo dentro un contesto sociale e territoriale.

Torino si colloca tra le aree italiane con la più alta partecipazione femminile al lavoro. Le donne rappresentano una fetta crescente della forza occupata, con tassi superiori sia alla media nazionale sia ad altre metropoli del Nord-Ovest. Ma il bilancio di genere mette in luce che solo una minoranza di loro raggiunge ruoli di responsabilità o apicali, sia nel settore pubblico che in quello privato.

L’asimmetria verticale è evidente: a parità di titolo di studio e di esperienza, le donne guadagnano meno e ottengono avanzamenti più lenti. Una dinamica che non riguarda solo le grandi aziende, ma anche la pubblica amministrazione e il mondo accademico, dove la presenza femminile si concentra nelle fasce intermedie, mentre ai vertici continuano a prevalere gli uomini.

Confrontando Torino con altre realtà italiane, il divario appare ancora più chiaro. A Milano, per esempio, il tasso di occupazione femminile è simile, ma la mobilità verticale risulta più dinamica grazie a un mercato del lavoro più diversificato e competitivo. Nel capoluogo lombardo cresce la presenza di donne manager e dirigenti, sostenuta da un ecosistema economico che valorizza competenze e innovazione.

A Bologna, invece, la chiave è un’altra: la rete dei servizi di conciliazione, in particolare la disponibilità di nidi, tempo pieno scolastico e welfare aziendale diffuso. Un modello che consente alle donne di rimanere nel mercato del lavoro senza penalizzazioni legate alla maternità.

Torino, al contrario, si trova in una posizione intermedia: offre opportunità di ingresso ma fatica a sostenere la crescita professionale, soprattutto nelle fasi cruciali della vita. È un equilibrio fragile, dove il rischio di carriere interrotte o rallentate è ancora molto alto.

Dietro i numeri, ci sono storie di doppie giornate e di tempo negato. Nonostante l’aumento della partecipazione, la divisione dei compiti domestici e di cura resta sbilanciata. Secondo le analisi contenute nel bilancio, le donne torinesi dedicano ancora oltre due terzi del tempo familiare alla gestione della casa, dei figli o dei genitori anziani.

È una fatica sommersa, che incide sulle carriere, riduce la disponibilità alla mobilità e limita l’accesso a ruoli che richiedono maggiore flessibilità. In questo senso, il soffitto di cristallo non è solo un problema culturale o aziendale, ma anche infrastrutturale: dove mancano i servizi, il peso del privato ricade sulle spalle delle donne, e la loro presenza nel lavoro pubblico o privato diventa più fragile.

Il paradosso torinese è tutto qui: più occupazione ma meno avanzamento. È come se l’ascensore sociale si bloccasse ai piani intermedi. Entrano più donne, ma poche salgono. Una contraddizione che racconta una società in movimento ma non ancora equa.

Le cause sono molteplici: criteri di selezione poco trasparenti, carenza di mentoring, stereotipi radicati nelle dinamiche aziendali. Ma anche una certa lentezza del sistema pubblico nel promuovere modelli di leadership inclusiva.

Se si guarda ai dati europei, Torino resta indietro rispetto a città come Lione o Monaco di Baviera, dove le politiche di genere hanno integrato incentivi per le imprese che valorizzano il talento femminile e hanno introdotto sistemi di monitoraggio annuale sulle carriere. Lì, la presenza di donne nei consigli di amministrazione e nei ruoli direttivi è cresciuta in modo stabile, mentre in Italia la progressione è ancora episodica.

Il bilancio di genere, in questo contesto, non è un documento da archiviare ma una bussola per l’azione. Fornisce un metodo per collegare i dati economici alle politiche pubbliche e per verificare se le scelte amministrative producono effetti diversi su uomini e donne.

Nel caso torinese, il documento evidenzia come le risorse per la formazione, le politiche attive del lavoro e il welfare territoriale siano leve cruciali per correggere gli squilibri. La collaborazione con il Politecnico di Torino rafforza il rigore scientifico del metodo e apre la strada a nuovi indicatori per valutare non solo la presenza femminile, ma anche la qualità della partecipazione.

Un confronto necessario

Confrontando Torino con Firenze, dove il Comune ha introdotto un sistema di monitoraggio interno sulle retribuzioni di genere, emerge una differenza di approccio. Mentre Firenze punta sulla trasparenza salariale, Torino si concentra sullo studio della struttura occupazionale e dei percorsi di carriera. Due strategie diverse ma complementari, che dimostrano come la parità non possa essere affrontata in modo uniforme: serve una mappa locale, tarata sulle specificità del territorio.

A livello nazionale, il confronto con il Bilancio di genere dello Stato mostra che le città metropolitane sono spesso il motore del cambiamento, ma faticano a tradurre l’analisi in azioni concrete. Torino, in particolare, ha ora l’occasione di fare un passo avanti: trasformare il proprio bilancio in una piattaforma permanente di monitoraggio e dialogo con le imprese, i sindacati e le università.

Il documento sarà presentato oggi alle 15.30 al Circolo dei Lettori, in un incontro pubblico che riunirà rappresentanti delle istituzioni, accademici e protagonisti del mondo economico. L’obiettivo è chiaro: passare dai dati alle azioni, condividere buone pratiche e definire obiettivi misurabili.

Se Torino saprà cogliere questa occasione, potrà trasformare il proprio paradosso in un motore di cambiamento. Perché la vera sfida non è solo aumentare l’occupazione femminile, ma garantire che ogni donna possa avanzare, scegliere, crescere professionalmente senza ostacoli invisibili.

Il bilancio di genere diventa così una lente per leggere la città: uno strumento per capire dove si ferma l’ascensore sociale e cosa serve per rimetterlo in moto.

Torino, come molte città europee, è a un bivio. Può scegliere di essere un laboratorio di parità reale, dove le donne non solo lavorano ma dirigono, innovano e decidono. Oppure può restare intrappolata nel suo paradosso: moderna nei numeri, ma ancora antica nelle gerarchie.

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